I circoli del cinema andrebbero inseriti nella lista del patrimonio Unesco. Oltre a nutrire l’amore per la settima arte, sono frequentati da una popolazione variegata e meritevole di osservazione.

Nei giorni scorsi ho rivisto Akadimia Platonos, film del regista greco Filippos Tsitos e, fra l’altro, premiato a Locarno nel 2009 per la miglior interpretazione maschile di Antonis Kafetzopoulos. La proiezione era organizzata dal circolo del cinema di Locarno e inserita nel ciclo «Fare la differenza. Sentieri cinematografici nei boschi dell’identità plurale». Il film narra in modo amaramente ironico l’insensatezza dei confini identitari. Una bizzarra vecchietta di Atene un giorno crede di ritrovare il figlio minore, abbandonato molti anni prima, in un muratore albanese. La signora, molto mal messa in salute e un poco anche di testa, ha un figlio ufficiale, Stavros, che trascorre le giornate stravaccato davanti al suo chiosco di giornali e sigarette con tre suoi amici. Quando Stavros scopre che le sue origini non sono elleniche, ma molto probabilmente albanesi, traballano sia le sue certezze che le sue amicizie e quindi il sé andrà ripensato.

A parte il piacere di rivedere una pellicola intelligente e ancora attualissima, l’altro spettacolo della serata si è svolto prima della proiezione e lo hanno dato gli spettatori, benché in modo inconsapevole. La sala aveva circa duecento posti. Essendo i partecipanti più o meno settanta, c’era un’ampia scelta su dove e come sedersi.

I primi arrivati hanno occupato la loro sedia ideale, ma questo ordine si è guastato quando è arrivata la seconda ondata e in particolare una coppia non giovane con un lui alto e secco. Il signore, che portava un grande sacchetto, ha scelto il lato sinistro piazzandosi davanti a un altro signore che, per vederci, si è spostato sul lato destro. L’alto e secco si è guardato attorno e, poiché non dava fastidio a nessuno, ha deciso di spostarsi a destra, per cui il signore di prima ha rioptato per il lato sinistro. Appena si è sistemato, il tipo con il sacchetto ha cambiato di nuovo idea e si è messo a sinistra. A quel punto il primo signore, che deve essere uno di buon carattere, invece di brontolare si è messo a ridere e si è rispostato a destra. Sembrava di essere dentro un film di Tati.

Ma non era finita, perché l’alto e secco a quel punto ha cambiato lato due o tre volte con la moglie (sinistra, destra, sinistra). Lei ha cominciato a stufarsi, e anche un po’ a vergognarsi. Quando lui ha finalmente placato il suo bisogno di rompere il posto alla gente, ha cominciato a estrarre dal sacchetto un cuscino, poi un altro, un altro e un altro ancora e li ha sistemati uno sull’altro, con il risultato che la sua testa, già alta, si è alzata di venti centimetri. Ovviamente chi era dietro di lui ha dovuto spostarsi, e di conseguenza anche gli altri di dietro, per cui non vedevamo l’ora che il film iniziasse per mettere fine a quel balletto.

Quando le luci si sono spente, ho sentito un tramestio dietro di me e ho visto una signora che girava la sedia davanti e ci appoggiava sopra le gambe con un gran sospiro di pace e piacere, proprio come se fosse a casa sua sul divano.

Mi sono tornati in mente due fratelli gemelli della mia infanzia, quando si andava a vedere i film all’oratorio e il cinema era un evento collettivo anche nei commenti. Quella volta la pellicola o il proiettore avevano un difetto, per cui il film continuava a interrompersi. Uno dei gemelli a un certo punto esclamò, a voce alta e in mezzo alla sala: «Stu film che sarebbe gnanche brutto se ci fossero mica sei o sette tempi». Unesco, pensaci.

mariangela.mianiti@gmail.com