“Un percorso poetico-politico” – così risuona il sottotitolo dell’Occhio, probabilmente, edito nel 2016 da Manifestolibri, in cui Edoardo Bruno ha raccolto saggi, studi, articoli e recensioni, apparse negli ultimi dieci anni sulla rivista Filmcritica, coadiuvato da Daniela Turco nel lavoro di scelta risistemazione del materiale.
Non si trattava di seguire una traccia cronologica, ma di individuare, appunto, la continuità d’un percorso: un percorso segreto, ma coerente; e opportunamente, a questo proposito, Daniela Turco ricorda (sulla scorta di Luisa Muraro) l’antica arte femminile del disfare le maglie, per recuperare la lana, riavvolgerla in gomitoli, renderla disponibile per nuovi utilizzi.
Il filo rosso del gomitolo, disciolto, disegna allora percorsi diversi, tutti riconducibili però al magistero dell’occhio. L’occhio di chi? Dello spettatore critico, probabilmente, e prima di tutto di Edoardo Bruno – ma l’assonanza voluta col titolo d’un film bressoniano (Il diavolo, probabilmente), non può che farci pensare all’occhio del diavolo, capace di scardinare i doppi-fondi della realtà, decifrare i segreti dell’invisibile, dare corpo al trasparente, concretizzare le apparizioni dei fantasmi.
Si parla di film, certo, in questo libro, con tutto il trasporto e l’amore per il cinema che hanno permesso a Edoardo Bruno di continuare per oltre sessant’anni nell’impresa Filmcritica – ma parlando di film si parla di teoria cinematografica, di pittura, di immagini, di teatro, di politica, e sopratutto di filosofia. E’ sorprendente che una scrittura sempre ancorata alla concretezza dei corpi e alla materialità dell’immagine, sempre lontana da ogni ideologismo come da ogni astrazione, delinei alla fine un un preciso percorso filosofico. Scrive Edoardo: “Penso alla filosofia come qualcosa di molto vicino all’arte, come a un tentativo di comprendere la sua indefinita completezza…” e poi “Paradossalmente potremmo dire che in filosofia più che di corpi si parla di idee, di esprit-spirito, pensiero, nel cinema è il corpo che assume importanza vitale, il corpo diviene materia, incarnazione, presenza. Il corpo è la fisicità del reale…” (del reale come essere toccabile).
Il cinema, il cinema di Rossellini, sopratutto, ma anche di Godard, di Straub/Huillet, dei grandi sovietici (Medvedkin, Vertov, Kozncev, Kulesov…), dei grandi hollywoodiani e dei grandi ribelli (Stroheim, Welles, Minnelli, Hitckcock, Spielberg, Scorsese…), diventa una forma di pensiero (concreto), ri-pensa il mondo e gli oggetti, l’umano e il disumano la macchina e l’uomo, “ri-pensa, ri-flette, allunga lo sguardo… inquadra, taglia, rivela…”.
Inventando il cinema, gli umani hanno inventato, più che un semplice specchio in cui guardarsi, il dispositivo capace di rivelarli a se stessi. Su questa rivelazione, che è insieme una rivoluzione, Edoardo Bruno insiste dal principio alla fine. Non è un caso, infatti, se nell’ultima pagina di questo libro appare un fotogramma estratto da L’uomo con la macchina da presa di Vertov. Nell’occhio della cinepresa si riflette il mondo, città, cose, oggetti, corpi, ma questi, nella loro varietà e complessità, assumono misteriosamente l’aspetto di un occhio umano, incorporato in quello meccanico, in reciproca simbiosi. Il mondo non è che l’occhio. L’occhio è il mondo.