«Non si abbatte la casa del padrone con gli strumenti del padrone», esorta Audre Lorde, l’unico modo per affermare la propria esistenza è di creare un nuovo linguaggio uscendo dall’invisibilità e dirsi per ciò che si è. Il discorso sul corpo e sulla sessualità – ricorda Michel Foucault – se da un lato agisce come dispositivo di disciplinamento, dall’altro costituisce la forza generatrice della sessualità stessa, che «non deve essere considerata come una specie di dato naturale» ma frutto di una produzione discorsiva e una costruzione culturale. Cosa accade se il confine si sposta dall’intimità della stanza da letto alla sfera pubblica? La risposta fa da contrappunto a Pelle queer maschere straight. Il regime di visibilità omonormativo oltre la televisione (Mimesis, pp. 166, euro 18) di Antonia Anna Ferrante.

Un libro che come un rasoio percorre differenti campi di studio. Deleuze direbbe che piega, dispiega e ripiega il pensiero radicale queer agli studi culturali, post-coloniali e di genere. Tiziana Terranova lo definisce uno sguardo «indisciplinato» su quanto si muove nel «grande processo di contestazione affettiva alla normalità della famiglia e del genere», a partire da quella che è la «moltitudine queer» che ci espone all’aprirsi di nuovi modi di vita, «alla trama delle nuove parentele radicali, alla micropolitica della resistenza attraverso gli affetti».

Vi è una tensione che tiene su la scrittura. Come sottrarsi al disciplinamento dei corpi e delle relazioni dissidenti? Come coltiviamo un pensiero e delle pratiche «fuori norma»? Domande che l’autrice affronta esplorando il luogo della mondanità per eccellenza, la televisione. In un viaggio attraente tra film, talk show e documentari, mostra come lo spazio pubblico abbia integrato a sé il discorso queer, anestetizzando il coming out.
Negli anni Novanta venne disciplinata dall’interno la comunità gay; l’agenda sessuale neoliberista ha costruito la «propria politica intorno al discorso della normalizzazione di corpi e sessualità».

La razionalità neoliberista infatti fagocita ogni ambito dell’esistenza umana e produce nuove forme di assoggettamento. Ferrante ne indaga l’omonormatività e l’estetizzazione; incalza poi i movimenti radicali, la loro capacità di sputare ancora su Hegel e disordinare la «casa del padrone», in una sfida col «regime di visibilità omonormativo» collocandosi sul margine meridiano, come fecero le «resistenza dei femminielle al fascismo» e oggi fanno le «queer terrone» nell’Europa neoliberista. La perizia del libro è di dissodare il campo del materialismo dei rapporti sociali nel punto d’intersezione fra sesso, razza e nazione.

Come liberare identità e corpi senza adoperare gli strumenti del padrone? Cruciale quesito. Inventare pratiche di trasparenza, discorsi e contro-condotte che conquistino l’autonomia delle scelte dentro e contro quel regime di visibilità.

Ancora un passo in più: il desiderio, la forza rivoluzionaria, va ancorata alle realtà materiali, vuol dire riappropriarsi di un desiderio mai sopito: il desiderio di comunismo. Costruire il comune, oltre il pubblico e il privato, tramite identità non assoggettate che frantumino lo specchio del potere.