Riproponiamo per l’addio a Filippo Gentiloni la sua rubrica «Divino» del manifesto del 24/4/ 2005, scritta a poche settimane dalla morte di papa Wojtyla e pochi giorni dopo l’elezione di Ratzinger.

Abbiamo passato giorni tristi per la laicità.

Un valore che ci è sembrato morto con la morte di Giovanni Paolo II e la nomina di Benedetto XVI.

Morto con le prime pagine dei giornali, con le interminabili trasmissioni televisive, con le genuflessioni anche di esponenti delle tradizioni laiche, come quelle di sinistra e liberali.

Una occhiata alle edicole dei giornali e alle prime pagine dei settimanali. E la stazione Termini ribattezzata Giovanni Paolo II.

E soprattutto le folle, misurate dalle migliaia e migliaia di bottigliette d’acqua e dalle centinaia di latrine distribuite dalla protezione civile.

E il nuovo pontefice che si affretta a scendere in piazza tra i fedeli e ad accarezzare i bambini per non essere da meno del suo predecessore.

Giornate sulle quali, ancora a caldo, qualche riflessione si impone.

La prima riguarda proprio la laicità. È veramente morta o non dovremmo piuttosto dire che una certa – ambigua – laicità ha invaso anche le cosiddette manifestazioni del sacro?

Tutte quelle preghiere pubblicizzate sugli schermi televisivi non erano forse analoghe a quella pubblicità che le accompagnava, le precedeva, le seguiva? Ce lo dobbiamo domandare.

La pubblicità è in grado di appiattire tutto, anche la preghiera, anche la tristezza e la gioia.

Tutto è funzionale, niente è più gratuito: neppure il pianto, il riso, l’applauso. E le folle che accorrono per piangere un pontefice finiscono per assomigliare a quelle del tifo sportivo.

Il grande valore della laicità presuppone, invece, livelli diversi, custodi dei diversi valori. E, soprattutto, una buona dose di silenzio. Quel silenzio che, d’altronde, fa parte essenziale di tutte le grandi tradizioni religiose e che, oggi, un certo cedimento al linguaggio della pubblicità sembra aver messo in crisi.

È vero che nel vangelo troviamo un interessante «ditelo dai tetti», ma i tetti di allora riguardavano decine, non migliaia di persone.

Forse, nel secolo XXI, anche il «divino» dovrà fare qualche passo indietro, per lasciare alla laicità – ben diversa dal laicismo – lo spazio che le compete e che, fra l’altro, permette al divino di mantenere la sua identità.

Autentica, non invadente come è stata in questi giorni. Discreta. Umile, per fare uso di un bellissimo termine della tradizione cristiana.