Immagini sfocate, in costante movimento, dall’angolatura strana, chiaramente provenienti da fonti diverse – telefonini di osservatori sconosciuti, body-cam di militari o poliziotti, telecamere di sorveglianza, stralci di programmi di news televisive, registrazioni audio di telefonate di panico, testimonianze di misteriosi informatori sconosciuti, foto di documenti segretissimi… Il tutto ha un look spurio, affrettato, che comunica «urgenza» – un’aura di ansia, che il testo recitato parte in fuori campo e parte da un testimonial che guarda lo spettatore negli occhi riesce solo lievemente a controbilanciare, a ri-mettere in ordine.

È un look che evoca l’informazione immersiva, experiential, a volte persino kamikaze, di «Vice News» (il tg quotidiano di Vice, in onda su Hbo), la cacofonia visiva a basso costo di YouTube, non il reportage di profondità , teoricamente obbiettivo, del «New York Times».
Ma The Weekly, una serie che (dalla primavera scorsa) va in onda ogni settimana prima sul canale tv Fx e poi in streaming su Hulu (entrambe proprietà della 20th Century Fox, e ora passate a Disney) è una creazione del «Times» che opera in stretta sinergia con la redazione del quotidiano newyorkese ed è alimentata dal lavoro dei suoi reporter. Nei comunicati stampa la parola di riferimento usata per descrivere The Weekly è «documentario».

Ma il format ricorda meno quello di programmi storici come Frontline (la grande serie di documentari investigativi in onda sulla Pbs) che l’ibrido di informazione/sensazione, spettacolo ed editorial, che caratterizza una vasta porzione di video d’attualità creati per la rete e che, nei palinsesti dei canali via cavo, sta nella voce «entertainment», non in quella «news». Raccontate quasi in prima persona dei reporter che se ne sono occupati per le pagine del quotidiano, le storie settimanali di The Weekly (una per puntata, di circa una trentina di minuti e dai valori di produzione visibilmente piuttosto bassi), hanno un taglio più simile a quello dell’editoriale che del reportage – celebrano non solo il lavoro giornalistico realizzato dal «Times» su quel fatto particolare ma anche, in senso più lato, il valore del giornalismo come incarnato dalla testata stessa.

Il che fa dei video di The Weekly non tanto uno strumento di informazione integrativa rispetto a una storia (come per esempio il contenuto interattivo che il sito del quotidiano spesso offre ai lettori per approfondire inchieste o articoli) quanto un infomercial per la promozione del brand stesso del «Times» – destinato a raggiungere un pubblico che non ha regolare consuetudine con le sue pagine, in carta o online.

Il problema è che l’accento sul dato emotivo delle storie (tra le ultime: il clamoroso blitz armato dei narcos a Culiacán per liberare il figlio di El Chapo Guzman, Ovidio; ipotetici dossier segreti del defunto Jeffrey Epstein e l’assoluzione con perdono presidenziale del comandante Navy Seal Edward Gallagher, il cui sadismo omicida è denunciato dai suoi soldati in videointerrogatori fatti avere sottobanco al «Times»…) unito al fatto che spesso la narrazione arriva dotata di un punto di vista (quando non addirittura di un partito preso, come quella su Gallagher, che include un lungo pistolotto sulle malefatte di Fox News) non rende i video un adeguato sostituto del lavoro di profondità fatto dai reporter su Epstein, Gallagher o sul putch militare del cartello di Sinaloa, ma una sua versione light, più superficiale – l’effetto shock della storia senza la complessità del mondo che l’ha resa possibile. Il rischio che, invece di invogliare alla lettura del grande giornalismo che il «New York Times» offre ancora oggi parecchi giorni alla settimana, un oggetto come The Weekly abbia l’effetto opposto.

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