«Il Paese è governato per i più ricchi, per le corporation, i banchieri, gli speculatori terrieri, e gli sfruttatori del lavoro». Le parole di Helen Keller, risalenti a oltre un secolo fa, sembrano raccontare il mondo di oggi. «È questa la ragione principale per cui ho fatto il film», spiega John Gianvito a proposito del suo Her Socialist Smile – presentato nei giorni scorsi alla Viennale – in cui ripercorre il fervente credo socialista della celebre intellettuale sordo-cieca statunitense. Nell’immaginario collettivo, la sua figura emerge dalla narrazione di Anna dei miracoli, ed è definita dal suo impegno per i disabili – ma quelli che lei definiva «gli occhi della mente» l’avevano portata a vedere molto oltre e più in profondità il mondo che la circondava – e quello a venire.

Come ha deciso di fare un film su Helen Keller?
Circa 21 anni fa, leggendo dei testi dello storico radicale Howard Zinn, ho scoperto che Helen Keller era stata un’ardente socialista. Ne ho cercato le prove, e le ho trovate in alcuni dei suoi discorsi. Sono rimasto profondamente colpito da quanto fossero rilevanti rispetto al momento storico attuale, come se fossero stati scritti quella stessa settimana. La maggior parte degli studenti qui negli Stati uniti impara la storia di come la giovane sordo-cieca Helen Keller ha imparato a leggere e parlare grazie all’impegno «miracoloso» della sua insegnante Anne Sullivan. Ma cosa poi Keller abbia letto, scritto e detto è significativamente omesso dalle narrazioni ortodosse della sua storia. Così ho cominciato a esplorare la possibilità di fare un cortometraggio che delineasse questa dimensione poco conosciuta della sua vita. Ma dopo mesi di ricerca archivistica non ero stato in grado di trovare alcun film, materiale fotografico o audio che documentasse l’attivismo politico di Keller. Era un fatto particolarmente strano, soprattutto se si pensa che all’epoca era una delle donne più famose al mondo. Poi sono venuto a conoscenza dei molteplici incendi che hanno distrutto molti dei suoi materiali e il progetto di fare un film non mi è più parso possibile. Infine tre anni fa il pensiero di questo progetto è riemerso. Una voce nella mia testa mi diceva: «Volevi fare un film sulla donna sordo-cieca più famosa al mondo, non hai immagini né suoni, e questo è in realtà un interessante problema creativo a cui non dovresti sottrarti». Il modo in cui ho «risolto» il dilemma della scarsità di materiali archivistici tradizionali rappresenta l’esperienza stessa del film. Con Her Socialist Smile non desideravo semplicemente correggere un’omissione storica nella biografia di Keller. Come Howard Zinn, sono interessato alla Storia nella misura in cui ci aiuta a pensare al presente, a costruire una strada migliore verso il futuro.

Le convinzioni socialiste di Keller sembrano ancor più stigmatizzate nell’America di oggi di quanto non lo fossero più di un secolo fa, quando ci si poteva apertamente definire socialisti e aspirare a ricoprire cariche pubbliche.

«La parola socialismo è uno spauracchio che i repubblicani hanno scagliato contro ogni progresso fatto dal popolo negli ultimi vent’anni». Non sono parole mie: le ha pronunciate il presidente Truman nel 1952. È senz’altro vero che negli ultimi decenni il concetto di socialismo è stato distorto, al punto che molti politici conservatori impiegano il termine come se dovessimo considerarlo per sua natura peggiorativo. La strategia è sabotare una visione del mondo in cui, con le parole di Keller, «il benessere di ciascuno è legato al benessere di tutti». Ma nonostante tutti questi sforzi per denigrare il significato originario della parola, negli ultimi anni qui negli Usa abbiamo visto crescere la popolarità di figure dichiaratamente socialdemocratiche, come dimostra il caso di Bernie Sanders o l’elezione di parlamentari come Rashida Tlaib in Michigan e Alexandria Ocasio-Cortez a New York. E ripensando alla travolgente ascesa del movimento Occupy è evidente come sia montata una vasta insoddisfazione nei confronti del cosiddetto capitalismo del libero mercato. Anche se si tratta solo di un sondaggio, nel 2019 Axios/Harris ha stabilito che circa il 49% dei giovani statunitensi preferisce un sistema socialista a uno capitalista. E se ciò mi dà un po’ di ottimismo, questi restano per me ideali fondamentali per cui battersi anche se non si vede un progresso all’orizzonte.

Per Keller, il movimento femminista, la lotta di classe e quella razziale erano strettamente collegate. È una consapevolezza che è andata perduta nel discorso politico attuale?
Nel corso degli ultimi 10 anni il concetto di intersezionalità ha acquisito un notevole seguito qui negli Usa. Definibile come la natura interconnessa delle categorie sociali di genere, razza e classe, il termine è attribuito alla docente di giurisprudenza Kimberlé Crenshaw, che lo descrive come un «prisma da cui osservare il modo in cui le varie forme di ineguaglianza operano congiuntamente e si acuiscono a vicenda». Anche se non si serviva di questa parola, mi pare chiaro dagli scritti di Keller che fosse consapevole di queste connessioni, e che avesse letto Marx. La pressione perché Joe Biden scegliesse non solo una candidata donna alla vicepresidenza, ma anche nera, è a mio parere un’indicazione ulteriore che la consapevolezza di questi rapporti non è andata perduta.

«Her Socialist Smile» è anche una riflessione sulle parole e il loro potere. Sullo schermo le parole di Helen Keller appaiono come lunghi intertitoli, mentre altre volte vengono pronunciate dall’attrice Carolyn Forché. Come ha lavorato per portare il suo discorso politico al cinema?
Anche se Keller teneva periodicamente dei discorsi pubblici, comunicava con il mondo principalmente attraverso la parola scritta, e inoltre è attraverso la parola stampata che lei stessa coglieva gran parte di ciò che accadeva intorno a lei e nel mondo intero. Mi sembrava quindi appropriato fare esperienza delle sue parole concentrandosi, in silenzio, senza sentire il bisogno di immagini che catturino l’attenzione come accade nella maggior parte dei documentari storici.

Le immagini del film hanno una qualità tattile, e in qualche modo ci accompagnano in quella che Keller diceva essere la sua attività preferita: passeggiare nei boschi.
Leggendo le sue autobiografie ho scoperto quanto intensamente amasse passare del tempo da sola in mezzo alla natura. La sua capacità nel descrivere questa esperienza, in assenza di vista e udito, era straordinaria. Ad esempio questo passaggio di Midstream: «Avevo sempre amato le meraviglie della natura; ma non avevo neanche sognato l’abbondanza di piacere fisico in mio possesso finché non mi sono seduta e ho cercato di esprimere a parole i merletti di ombre sulle foglioline, le ali velate degli insetti, il mormorio della brezza, i palpitanti tremolii dei fiori, il respiro leggero del petto di una colomba, i filamenti sonori dell’erba agitata dal vento, e i fili delle ragnatele che si fanno e disfano senza sosta». La scoperta di questo aspetto del mondo interiore di Keller ha stabilito una connessione profonda con il mio spirito, e ha aperto una porta cinematografica attraverso la quale rapportarmi al film, specialmente perché per me il nostro rapporto con la natura ha una dimensione intrinsecamente politica.

Cosa pensa di quello che sta accadendo in questi giorni con le elezioni presidenziali, e del rifiuto di Trump di accettare il risultato se non dovesse essere il vincitore?
Virtualmente nulla di ciò che fa Donald Trump mi sorprende. Quando una persona è completamente priva di scrupoli morali, tutto è possibile. E tragicamente, questo individuo maligno e spregevole continua ad avere una vasta schiera di sostenitori. Se da un lato il testa a testa dei risultati elettorali mi sorprende e mi sgomenta, tutto questo va considerato anche attraverso la lente del nostro arcaico sistema del collegio elettorale. Con tanti voti ancora da conteggiare, il ticket Biden-Harris ha già diversi milioni di preferenze in più nel voto popolare. Sfortunatamente, mi aspetto ancora tanta divisione nei giorni, mesi, e anni a venire. La lotta continua.