I «Dialoghi sull’uomo» sono una delle più importanti manifestazioni culturali nel nostro paese. Ideati e curati da Giulia Cogoli (che prima aveva fatto nascere a Sarzana il «festival della mente») costituiscono un vero e proprio festival dell’antropologia contemporanea. Che scava nei meccanismi quotidiani che ci muovono, attraverso la presenza e la parola di intellettuali e pensatori di rango. Quest’anno il «festeggiato» principe era Claudio Magris, oggi uno dei pochi grandi padri riconosciuti della scrittura nel nostro paese (e del nostro paese attraverso la scrittura) che ha ricevuto dal festival quel riconoscimento che era andato negli anni passati a personalità come Vandana Shiva, Grossman e Wole Soyinka. E lo scrittore triestino era contornato e coccolato da signore importanti dell’industria editoriale italiana, da Renata Colorni a Maria Fancelli. La visuale femminile era centrale del resto in tutta la manifestazione. La sera sul palcoscenico della pistoiese piazza del Duomo, dove sempre prendono fisicamente corpo i discorsi del giorno, Sonia Bergamasco ha riportato attraverso le loro storie le figure fondamentali di quattro donne che sono state madri coraggiose dell’antropologia contemporanea.

«DONNE IN CAMMINO» le definiva il titolo della serata (preparata da Giulia Cogoli e Marco Aime), perché arditamente si sono addentrate in luoghi, divenuti poi in pochi decenni meta e preda di turisti avventurosi, ma che all’inizio del ’900 contenevano culture e modi di vivere totalmente altri rispetto ai canoni dominanti nell’occidente “civile”. E se Margaret Mead è un nome riconosciuto da molti quale madre di quella scienza quale è oggi l’antropologia, è istruttivo e piacevole sentire la storia, raccontata da lei stessa, di quel suo primo avventurarsi in culture altre. Come ha raccontato lei stessa nella sua autobiografia L’inverno delle more, il suo vagare poco più che ventenne nei Mari del Sud, tra Samoa, Nuova Guinea, Bali ha rivelato a tutti l’unica cosa in grado di sostituire l’idea di razza (come spiegazione delle differenze tra le società umane): «solo la cultura». Una risposta che trova sordi oggi ancora molti.
Non meno interessanti della fondatrice, i racconti di altre antropologhe, meno note ai più. Come le due etnologhe francesi, anch’esse giovani e intrepide, che nel 1935 lasciano ripartire per Parigi i colleghi di una spedizione a sud del Sahara, e restano sole in Mali: Denise Paulme e Deborah Lifchitz (che morirà poi per mano nazista ad Auschwitz). Nelle loro Lettere da Sanga raccontano non solo le diverse modalità di vita e di valori della popolazione Dogon, ma fanno risaltare anche la crudeltà insensata degli attegiamenti sciovinisti e colonialisti dei propri compatrioti. Ultima protagonista dei racconti proposti con lucida passione da Sonia Bergamasco, Alexandra David-Néel, una donna nata pochi decenni prima delle sue «colleghe», ricca di mezzi artistici (per un periodo calcò le scene come cantante) e anche «politici», grazie alla frequentazione di amici anarchici eredi della Comune parigina.

CONVERTITA al buddhismo, e applicatasi allo studio del sanscrito, dobbiamo a lei il racconto forse più fascinoso: un viaggio pericoloso e mirabolante, dall’India al Nepal al Tibet, di cui riuscì a raggiungere, travestita e contro ogni divieto, la mitica capitale, Lahsa, vietata agli stranieri e che pochissimi «estranei» erano fino allora riusciti a vedere. Grande letteratura, che nel racconto si fa teatro della mente, capace di stimolare nello spettatore ulteriori, necessarie curiosità.
Su un binario, del resto, dove si sono affollati il dibattito e la pratica di una parte cospicua del nuovo teatro degli ultimi 50 anni: da Grotowski a Eugenio Barba a Peter Brook, e ai numerosi loro interpreti, discepoli ed esegeti. Un movimento di sommovimenti, che solo adesso si comincia a storicizzare e classificare. Ma qui si aprirebbe un altro, amplissimo discorso.