Per una storia del cinema senza nomi è il tema della ventiduesima edizione del FilmForumFestival in corso a Udine fino al 24 marzo per iniziativa dell’università di Udine con l’associazione culturale Lent. La manifestazione, iniziata mercoledì con il consueto convegno internazionale di studi, intende cercare altre chiavi di accesso al cinema dei decenni passati che non sia quella dominata dal concetto di autore, appunto, consolidatasi ormai ovunque dopo aver fatto fatica inizialmente ad affermarsi quando i protagonisti della nouvelle vague francese, Godard e Truffaut in primis, negli anni sessanta avevano coniato il termine cinema d’autore contro l’onnivoro potere degli studios hollywoodiani.
Erano altri tempi, però, e portare l’attenzione sul regista, la sua visione, la sua sensibilità, era necessario, dato che l’ultima parola era sempre del produttore. Da qui la sempre più frequente uscita di director’s cut… Questo confronto tra vari punti di vista sul quesito a livello internazionale è la prima tappa di un progetto triennale che coinvolge l’ateneo di Udine assieme a molte università europee e americane, da Berkeley alla Freie Universität di Berlino, da Paris 3 al King’s College di Londra.

Protagonista della parte cinematografica è il cineasta spagnolo Albert Serra, vincitore del Pardo d’Oro a Locarno 2013 con Historia della meva mort dove un ipotetico incontro tra Casanova e Dracula sprigiona un vero e proprio inno visuale da cortocircuito filosofico sul tema di desiderio e piaceri ludici. Serra, reduce dall’omaggio dedicatogli a Londra presso la Tate Gallery Divine visionaries and holy fools, è ospite a Udine per presenziare alla prima personale italiana e parlare del suo cinema a studenti – e non – in una masterclass. Albert Serra incanta coi suoi visionari divini e santi folli, come giustamente ha titolato la Tate, dove l’artista ha presentato un’anteprima, breve, di Singularity con cui sarà presente alla Biennale Arte per la Catalogna e la cura di Chuz Martinez.

Lo stesso che l’aveva già chiamato a realizzare i quattordici episodi di The Names of Christ nel 2010 per la mostra Are you ready for TV? al MACBA di Barcellona, basati sul manoscritto cinquecentesco De los nombres de Cristo del frate Luis de León.

«Si tratta di un’ottima occasione per sperimentare il mio approccio ai grandi miti», ci racconta al telefono il quarantenne, nato nel nord della Catalogna, vicino al paese in cui vissero Dalì e Bunuel, del cui Chien andalou rimase colpito per l’attitudine artistica, surrealista, giocosa, libera da ogni freno accademicamente impostato. Che lui ha fatto sua per decostruire con sapienza e ironia convenzioni e regole del cinema, classico, usando da sempre la camera digitale, di piccolo formato, per muoversi senza ingombro tecnico con e tra i suoi attori, nel paesaggio, e catturare l’istante.

Magico. Mitico. Da smitizzare subito, «con amore e poco rispetto». Al Cinema Visionario passano inoltre Cubalibre, il musical che guarda all’opera di Fassbinder, e Honor de cavalleria, liberamente ispirato al Don Chisciotte, l’esordio nel 2004 a Cannes.