Con la scomparsa di Peter Liechti, il mondo del cinema e dell’arte contemporanea piange l’autore di quella che la Neue Zürcher Zeitung ha definito l’opera cinematografica elvetica più significativa degli ultimi vent’anni. Nato a San Gallo l’8 gennaio del 1951, Liechti ha attraversato il cinema svizzero con determinazione e originalità, muovendosi lungo sentieri di frontiera, lì dove l’immagine in movimento s’intrecciava con la musica, la performance e la sperimentazione. La definizione di documentarista stava molto stretta a Liechti. Testardo creatore di forme originali, spietato nella messa in scena dei suoi limiti e sempre teso a saggiare le curvature del dispositivo di riproduzione, Liechti è stato un caso anomalo all’interno del mondo del cinema svizzero.

Insegnante di disegno a tempo pieno e regista nei ritagli di tempo, inizia a realizzare film nel 1984. Il suo primo lavoro, Sommerhügel, è un mediometraggio che lascia intuire le inquietudini di un creatore insofferente delle norme, ma è solo nel 1996 che Liechti fa il suo esordio sulla lunga distanza con Signers Koffer – Unterwegs mit Roman Signer. Realizzato in stretta collaborazione con Roman Signer, artista concettuale e multimediale, noto nel mondo dell’arte contemporanea per le sue «action sculptures» – sua l’installazione Horloge per la Fondazione Zegna del 2012 – il film è il segno di una complicità profonda e intima che assume i tratti di un’amicizia oltre che di un’intesa intellettuale. Con Signer, Liechti realizza cinque film, mentre progressivamente la sua attività registica assume i contorni di un lavoro a tutti gli effetti.

Nel 1997, infatti, Liechti firma Marthas Garten, il suo unico lungometraggio di finzione, realizzato in un minimale bianco e nero. Come un incrocio onirico fra le trame gialle di Martin Suter e la nettezza degli incubi kafkiani, il film mette in scena la penetrazione della morte nel quotidiano conservando un equilibrio mirabile fra una follia lucidissima e un distacco ironico.

Ossessionato dal suo desideri o di smettere di fumare, cosa che non gli riuscirà mai sino in fondo, il regista realizza nel 2003 Hans im Glück – Drei Versuche, das Rauchen aufzugeben, uno dei suoi film più personali e apprezzati. Animato da un’antipatia per lo meno singolare, trattandosi di uno svizzero, nei confronti dell’escursionismo, il regista, forse conservando nella memoria analoghe imprese di Werner Herzog, decide di raggiungere San Gallo a piedi da Zurigo pur di liberarsi dalla dipendenza dalla nicotina. La macchina da presa diventa carnet di appunti e confidente che registra e accoglie il flusso di coscienza del regista che si rivela. Paradossale film sull’anima e l’immagine della Svizzera, si rivela opera complessa e lieve che permette a Liechti di farsi apprezzare anche al di là degli ambienti del cinema elvetico e documentario.

Nel 2009 Liechti firma Das Summen der Insekten – Bericht einer Mumie, agghiacciante ricostruzione del diario di un uomo che decide di lasciarsi morire di fame tratto dal libro di Masahiko Shimada. Opera di visionaria radicalità per quanto riguarda la costruzione di un sound-design che evoca pensieri e suoni di un corpo che progressivamente scivola nella morte, il film è accolto entusiasticamente nei festival di tutto il mondo.

Sempre più afflitto dal cancro che lo scorso venerdì avrebbe piegato definitivamente il suo corpo, Peter Liechti si congeda dal mondo del cinema con Vaters Garten – Die Liebe meiner Eltern, lavoro nel quale aveva di deciso di avvicinarsi ai suoi genitori commosso dall’idea di osservare il tempo erodere la loro presenza terrena. Crudelmente, invece, il film è diventato il dono estremo di Peter Liechti ai suoi genitori e il suo congedo dalla vita e dal cinema.