Siamo in piena campagna di raccolta e trasformazione del pomodoro, con tutti i suoi protagonisti. I lavoratori nei campi a raccogliere per 10-12 ore al giorno, con i fenomeni di sfruttamento estremo che stanno dietro questa attività, gli autotreni con il loro carico che percorrono le autostrade italiane e fanno la spola tra aziende agricole e stabilimenti di trasformazione. L’attività dell’industria conserviera italiana nei mesi di luglio-settembre è concentrata sul pomodoro. Tutti hanno la necessità di fare presto. Gli agricoltori devono collocare il loro prodotto prima dell’arrivo delle piogge di fine estate, le aziende conserviere devono trasformarlo rapidamente utilizzando al massimo i loro impianti. Ogni protagonista cerca di far valere il suo potere contrattuale. Ma alla fine è sempre la Grande Distribuzione Organizzata a dettare le regole del gioco. Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati in Italia oltre 8 mila imprenditori agricoli, che coltivano circa 72 mila ettari, e sono 120 le industrie di trasformazione, nelle quali lavorano 10 mila persone.

La partita tra i vari operatori della filiera del pomodoro inizia nei mesi di gennaio-febbraio, quando si firmano le intese tra le organizzazioni dei produttori e le industrie di trasformazione. Gli accordi vengono presi in maniera separata: il bacino produttivo del Nord, da una parte, e quello del Centro Sud, dall’altra.

L’intesa per il bacino del Nord, siglata a febbraio, ha stabilito per il 2018 un prezzo di riferimento per il pomodoro da industria di 79,75 euro a tonnellata, lo stesso prezzo del 2017 e inferiore a quello del 2016. Significa che l’industria riconosce all’agricoltore meno di 8 centesimi per ogni chilo di pomodoro fornito. Bisogna partire da questo dato per comprendere i problemi che vive il settore della produzione che, a sua volta, scarica sui lavoratori dei campi le difficoltà economiche, comprimendo i loro salari e favorendo il fenomeno del caporalato.

L’Anicav, la principale associazione di rappresentanza dell’industria conserviera, ha giudicato positivamente l’accordo, mentre la Coldiretti Lombardia, attraverso il suo Presidente Ettore Prandini, ha espresso la sua contrarietà 1perché si tratta di una intesa insufficiente a coprire i costi di produzione e da molti anni manca una corretta remunerazione per gli agricoltori che devono fare i conti con l’arrivo di prodotto straniero a basso costo che svilisce il lavoro degli agricoltori italiani. Così come Giovanni Lambertini della Confagricoltura di Piacenza che dichiara: «Nella formazione del prezzo di riferimento non è stato considerato l’aumento, già registrato, di circa il 5% dei costi di produzione, oltre a un incremento dei costi assicurativi per la campagna produttiva 2018».

Per il bacino Centro-Sud, solamente a metà maggio è stato faticosamente raggiunto un accordo tra Anicav e produttori agricoli. Il prezzo di riferimento medio è di 87 euro a tonnellata per il pomodoro tondo e 97 euro a tonnellata per il pomodoro lungo. Sono varietà di pomodoro impiegate soprattutto per pelati e polpa, con un maggiore contenuto zuccherino, che scontano un prezzo superiore. Ma siamo sempre sotto i 10 centesimi al chilo. Questo ritardo negli accordi ha prodotto, inoltre, notevoli difficoltà da parte degli agricoltori nella scelta delle varietà da coltivare e a cui l’industria conserviera poteva essere maggiormente interessata.

Giorgio Mercuri, Presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari afferma: «Non si vuole riconoscere alla parte agricola un prezzo adeguato che tuteli il reddito degli agricoltori e li preservi dal rischio di produrre sottocosto. In un comparto come quello del pomodoro, così vitale per l’economia del mezzogiorno, è necessaria una equa remunerazione dei produttori e dei lavoratori impiegati nella filiera. Non dimentichiamo che la battaglia del caporalato è ancora tutta da vincere e con il peggioramento dei redditi degli agricoltori e dei salari dei lavoratori si va a minare l’etica e la solidarietà di tutta la filiera». Aggiungiamo, inoltre, che i produttori agricoli, in molti casi, ricevono con mesi di ritardo i pagamenti da parte dell’industria conserviera, con tutti i problemi che ne derivano.
Per la stagione in corso è previsto un calo della produzione di pomodoro da industria di circa il 10% rispetto al 2017, senza che questo abbia avuto alcun beneficio per i produttori agricoli. C’è da dire che le industrie conserviere hanno notevoli stock di magazzino che derivano dalla elevata produzione del 2017 e dalle elevate importazioni di concentrato da altri paesi. Si ritiene che le industrie abbiano operato una precisa scelta: accentuare l’attività di trasformazione prima dell’entrata in vigore del decreto che impone di indicare l’origine del pomodoro. Anche Maurizio Gardini, Presidente di Conserve Italia, la più importante azienda conserviera, ha da fare le sue rimostranze.

Durante un incontro con altri operatori che si è tenuto il 2 agosto scorso ha affermato: «Nel 2018 per il pomodoro da industria la campagna di trasformazione sarà più lunga e più scarsa, ma di maggiore qualità. Ma sul fronte del mercato interno occorre sostenere le iniziative che si oppongono alle pratiche sleali. Il peso dei rapporti di filiera è stato negli ultimi anni sempre più sbilanciato verso la Grande Distribuzione Organizzata, a causa di pratiche scorrette come le aste al ribasso». Si torna al punto di partenza, in un quadro in cui ciascun protagonista difende i suoi interessi e il nostro pomodoro viene tirato da tutte le parti.