«Ho sempre tenuto ferma, per aggressivamente faziose che fossero le reazioni, una linea di condotta ancorata al principio della divisione dei poteri». Lo sfogo del presidente Napolitano arriva a scoppio molto ritardato rispetto alla causa del disappunto. Fin qui non voleva farsi trascinare nella rissa elettorale da parte di un Berlusconi in caduta libera. E arriva nel corso di un incontro con i nuovi magistrati in tirocinio, a cui ripete la raccomandazione garantista: i magistrati «rifuggano dai protagonismi», «personalismi ed arroccamenti» e «dal sentimento di essere investiti da visioni improprie e forvianti, sentendosi sempre meno potere e sempre più servizio»; mantengano «sobrietà nei comportamenti anche privati», evitando «ogni atteggiamento che sia o possa apparire di parte».

Ma poi il discorso del presidente si sposta su di sé e sul suo ancoraggio «al principio della divisione dei poteri». Il riferimento alle velenose accuse lanciate dall’ex premier alla trasmissione Porta a Porta di giovedì scorso è evidente: «Ho dodici testimoni che hanno sentito la voce di Napolitano messa in diretta da Fini per convincerlo che poteva fare la sua operazione politica perché aveva le spalle coperte», ha affermato Berlusconi.

L’episodio si sarebbe svolto a fine del 2010 quando per un mese la camera aspettò la calendarizzazione della mozione di sfiducia contro l’allora premier. Berlusconi oggi ’rivela’ che Napolitano sondò Fini per il posto che un anno dopo affidò a Mario Monti. La cronaca in realtà suggerirebbe il contrario: quel mese che passò prima del voto fu prezioso proprio per Berlusconi, che ebbe il tempo di ricomprarsi transfughi e indecisi. Il Transatlantico si trasformò nel suq dei Razzi e degli Scilipoti. Alla fine sfangò la fiducia. Per tre voti.
L’accusa di Berlusconi, smentita da Fini, sarebbe pesante se non fosse fantasiosa. Ma per Napolitano resta velenosa, rimasticata com’è dalla ricostruzione del giornalista Alan Friedman dell’anticipo con cui il presidente ’scelse’ Monti per la successione di Berlusconi contattandolo. Nessun complotto, solo (si fa per dire) scelte politiche, ha ammesso lo stesso Napolitano al Corriere della sera: «Nessuna difficoltà a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011», perché «era un prezioso punto di riferimento per le sue analisi e i suoi commenti di politica economico-finanziaria» e «appariva allora – e di certo non solo a me – una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del Paese».

Erano gli anni in cui nel Pd Napolitano, fin lì baluardo contro le forzature costituzionali berlusconiane, era considerato infallibile nell’esercizio delle sue funzioni, dilatate da un parlamento bloccato. E se non fu un complotto, furono quelle sue scelte a far da detonatore al fenomeno Grillo. Sull’incriticabilità di Napolitano il Pd ruppe l’alleanza con Di Pietro e si orientò verso Monti, e poi via scendendo a destra. Anni che il Pd ha archiviato senza eccessi di analisi. Infatti Massimo D’Alema attacca: «disgustosi» gli attacchi di Berlusconi, «meno male che c’è stato Napolitano nel corso di questi anni, anche quando avevamo governi che non erano all’altezza di far rispettare l’Italia nel mondo».