Bisogna essere provviste di talento e molta fiducia nel mondo per raccontare cosa ne è del dissesto selvaggio in cui spesso restano impigliate le vite. Claudia Bruno, giornalista ambientale e redattrice freelance che ha all’attivo già diversi racconti e interventi raccolti in volume, possiede una scrittura che ha questo dono e ce lo consegna nel suo romanzo d’esordio Fuori non c’è nessuno. Ninna nanna di periferia (Effequ, pp. 224, euro 13).

Lo sfondo immaginario e algido è uno dei tanti non-luoghi che compongono l’Italia, Piana Tirrenica «eterno cantiere di ferro e cemento». Greta, protagonista e voce narrante, è una trentenne che fa i conti con l’incompiuto di cui si è riempita gli occhi per decenni. Colonie edilizie, amianto, riserve naturali trasformate in dormitori, piccoli nuclei famigliari sradicati dal sud Italia e approdati al sogno industriale per trovare lavoro, sono questi i ricordi del disordine infantile condivisi con altre bambine e bambini che in quella lingua di terra da cui si vede in lontananza il mare vivono o hanno vissuto.

Tutto nel corpo di Greta urla lo scandalo dell’ingordigia di chi per profitto ha pensato di costruire luoghi abitativi di rara bruttezza in cui la vivibilità, così come la socialità, è azzerata per sempre. E quel senso di lutto, provocato da un dato di realtà per cui non si può conoscere se non ciò che è toccato in sorte, la trascina lungo tutta la narrazione. Una confidenza «con le cose piccole e insignificanti, rotte, o soltanto dimenticate. A volte aveva l’impressione di essere diventata anche lei così, una donna cantiere, eternamente in attesa di un completamento che non arrivava». Anche adesso che da circa tre anni se n’era andata via, per lavorare in un mobilificio e condividere un piccolo appartamento con il suo compagno, la sensazione è immutata. Quando vi fa ritorno è per assistere al funerale della sua amica di sempre, Michela.

Essere al cospetto di tanta solitudine è drammatico ma Claudia Bruno riesce a scartare con molta competenza il gorgo muto in cui i viventi nascono e muoiono senza una ragione sufficiente. Se fuori da Piana Tirrenica sembra non esserci nessuno, è allora dentro il tessuto relazionale che ha visto impegnata Greta a restare nel mondo che vengono interpellate le storie di quei luoghi. Riprende per mano Michela – che ha occhi come strette fessure simili alla Lila di Elena Ferrante – e attraverso di lei Nadia, Katarzyna, Lorenzo.

Lungo strade non ancora compromesse dal guasto irrimediabile della fatiscenza, non c’è chi fugge e chi resta, né amiche geniali a richiamare una soggettiva presa d’atto, bensì l’oscillare di uno scacco tra il vivere e il morire che trova una chiarezza nella scrittura letteraria. Germogliante e veritiera. Quando si avverte che «tutti i luoghi sono uguali se quello che cerchiamo è scapparci di mano» e dall’altra parte si viene ammonite che «io sono almeno due, una tira l’altra molla».