Nel Camerun anglofono la situazione resta tesa. A Kembong dove ci sono stati scontri violenti nei giorni scorsi, su 6 mila abitanti ne sono rimasti al massimo 50 e secondo i giornali locali i militari si sarebbero messi a commerciare cacao e bestiame abbandonati dai civili in fuga. Preoccupa la situazione della popolazione rifugiatasi in Nigeria, dove il vescovo di Mamfe, Andrew Nkea, è andato a dare conforto e regali per il nuovo anno: «Scappano dai militari da cui si supponeva dovevano essere protetti – ha detto -. Hanno picchiato la gente e bruciato le case… ».
Intanto, a margine della vicenda, il 6 dicembre scorso lo scrittore camerunense Patrice Nganang è stato arrestato a Douala con l’accusa di aver pubblicato dichiarazioni offensive nei confronti del presidente Paul Biya. Nganang è stato in seguito rilasciato prima del suo processo, fissato al 19 gennaio. Privato del passaporto camerunense, è stato espulso negli Usa, di cui è anche cittadino. E lì lo abbiamo raggiunto al telefono.

Com’è andata?
È stato fantastico. Ero nella zona internazionale dell’aeroporto di Douala in attesa d’imbarcarmi su un volo per lo Zimbabwe, sono stato prelevato da cinque poliziotti, ammanettato e portato nell’ufficio della polizia giudiziaria a Yaoundé, senza che mi fossero spiegati i motivi. Quindi senza spiegazioni sono stato messo in una cella da solo. Non ho potuto mettermi in contatto con un avvocato, né informare i miei famigliari.

Dopo cosa è successo?
Passati due giorni sono stato informato del capo d’accusa: oltraggio agli organi costituzionali e minacce. Interrogato, volevano che leggessi ad alta voce quanto avevo scritto su Facebook, ma ho rifiutato quindi sono stato rimandato in cella. Dopo altri due giorni di detenzione mi sono stati notificati altri capi d’accusa tra cui «immigrazione clandestina» e «contraffazione di documenti». Poi, prima dell’udienza preliminare, sono emerse altre accuse: una situazione kafkiana.

Tuttavia su Facebook hai scritto che avresti «sparato in fronte» al presidente Paul Biya e hai anche descritto la moglie del presidente come wolwoss («prostituta» nello slang camfranglais). Ripeteresti oggi queste frasi?
No. Era un testo arrabbiato, scritto dopo un viaggio in una zona di lingua inglese in conflitto, dove i soldati si aggirano in passamontagna, una regione che vive sotto il coprifuoco e internet viene bloccato. Era un testo scritto in parallelo con un altro testo narrativo su questo viaggio e sulla gestione della crisi.

Il giorno prima dell’arresto avevi pubblicato su Jeune Afrique un diario di viaggio sulla crisi anglofona molto critico con il governo. Pensi abbia influito?
Ne sono convinto. Appena arrivato negli uffici della polizia giudiziaria hanno iniziato a chiamarmi «Ambazonia» (la regione di lingua prevalentemente inglese al centro del conflitto con il governo centrale, ndr). Sì, penso sia in quell’articolo la vera ragione del mio arresto. Infatti, durante l’interrogatorio i poliziotti continuavano a chiedermi perché «sei andato lì», «con chi?», «chi hai incontrato?».

Alla fine sei stato rilasciato, te l’aspettavi?
Veramente no. Tre uomini sono venuti ad informarmi che il processo era stato anticipato al 27 dicembre, il giorno dopo. L’aula era completamente vuota e il pubblico ministero ha lasciato cadere le accuse senza alcuna discussione.

La Costituzione camerunense non prevede la doppia nazionalità. Ora le hanno ritirato il passaporto quindi lei non è più camerunense? 
Per ora sono un camerunense in esilio. Sono stato espulso dal paese in cui sono nato, l’ironia della situazione è lì. Ma appena finirà il regime di Paul Biya e ci sarà un governo degno di questo nome riavrò il mio passaporto. Senza una buona leadership tutto è possibile, anche la secessione delle regioni anglogone.

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