Tra i più noti giornalisti catalani, già direttore del Periódico de Catalunya e collaboratore de La Vanguardia, Rafel Nadal Ferreras è da anni anche un apprezzato scrittore che indaga la Storia e le sue ricadute sulla vita degli individui. Come ha fatto nel suo La maledizione dei Palmisano (Salani, pp. 180, euro 16,00), ambientato nell’Italia meridionale tra le due guerre mondiali che l’autore presenterà lunedì 25 alle ore 18 a Roma, alla Feltrinelli Colonna in collaborazione con l’Istitut Ramon Llull.

rafael nadal farreras intervista 18
Da osservatore delle vicende catalane cosa pensa possa accadere dopo la svolta repressiva di Madrid?
La situazione è stata a lungo in stallo e ci si chiedeva chi, tra il governo centrale e la Generalitat di Barcellona avrebbe fatto il primo vero passo falso. Sul momento era apparso che fosse stato l’esecutivo catalano ad aver forzato le cose, votando in favore del referendum sull’indipendenza. Negli ultimi giorni si è capito che è invece stata Madrid ad aver intrapreso un percorso davvero pericoloso. Un comportamento aggressivo che ha già prodotto un risultato inverso a quello auspicato: molti catalani fino ad oggi scettici sull’indipendenza si sono uniti alle proteste contro la repressione. Oggi la maggioranza è schierata a favore del referendum. E sono in molti, anche fuori dei confini della Catalogna, a considerare che in ballo ci siano i diritti civili di tutti.
In un suo libro, “Los mandarines”, lei tracciava un ritratto di Mariano Rajoy. Perché la destra ha scelto questa linea intransigente?

Dopo gli arresti, il sequestro di schede e materiale per il referendum e le multe salate comminate ad alcuni esponenti della Generalitat assisteremo ad un’ulteriore escalation repressiva. Perché sta avvenendo? Sia il Pp sia il Psoe raccolgono la maggior parte dei voti in Andalusia e Castiglia e perciò nell’attaccare la Catalogna perseguono i loro interessi elettorali. C’è poi da considerare che Rajoy è l’erede politico di quel José Maria Aznar che ha delineato il nuovo volto della destra spagnola su una linea radicale che non contemplava alcun dialogo con i movimenti autonomistici, a cominciare proprio dai catalani. Aznar parlava di una nazione spagnola che si sarebbe dovuta candidare alla guida di tutto il mondo ispanofono e di cui Madrid sarebbe stata la capitale internazionale. Abbandonati questi assurdi sogni di grandeur a Rajoy è rimasta da giocare comunque la carta di un nuovo nazionalismo spagnolo, aggressivo e minaccioso. Perciò, su questo piano, è difficile attendersi un cambio di rotta.

El Periodico, il giornale che ha diretto a lungo ieri titolava che la risposta alla repressione è l’autogoverno. Il fronte anti- Madrid si allarga?
In realtà, nel parlamento di Barcellona i partiti indipendentisti non raggiungono il 50%, ma esiste un dialogo e un confronto costante con le forze della sinistra e del centro che sono ugualmente convinte che i catalani devono poter decidere del loro futuro anche se non sono schierate per una separazione netta. Allo stesso modo, parte dell’opinione pubblica catalana è favorevole alla tenuta del referendum, anche se non ha ancora scelto cosa voterà. In questo contesto è arrivata la risposta di Madrid. Dire che la scelta dell’indipendenza è illegale in base alle leggi spagnole è una cosa, impedire che si esprimano le opinioni in suo favore è un’altra. Arrestare le persone, vietare le riunioni pubbliche, censurare la stampa: a Barcellona le persone sono scese in piazza contro questa minaccia alla democrazia. Ora, sta alla Generalitat comprendere i motivi della mobilitazione e non ridurla al solo quesito sull’indipendenza.

Il romanzo “La señora Stendhal”, uscito a giugno a Barcellona, descrive il periodo successivo alla guerra civile spagnola. Ritiene che la questione nazionale rimanga una pagina incompiuta del dopo Franco?
Senza dubbio. È un tema cui non si è voluto dare risposte dopo la fine della dittatura, e che perciò è ancora davanti a noi. Dopo la morte di Franco, fu ristabilita l’autorità della Generalitat, che i fascisti avevano bandito, e fu fatto rientrare dall’esilio Josep Tarradellas, l’ultimo presidente che i catalani avevano eletto. Fu questo l’unico atto di «rottura» durante gli anni della transizione: riesumare un’istituzione che in Catalogna esisteva già dal XIII secolo, ben prima che la Spagna si dotasse di una nuova Costituzione democratica. Poi e soprattutto dopo il fallito colpo di Stato di Tejero nel 1981, che fece capire come i militari mantenessero la loro pressione sul paese, la politica spagnola ha utilizzato la paura per un ritorno al passato per bloccare ogni processo di cambiamento reale. Oggi si vede bene a cosa tutto questo abbia portato.