Tra i molti rifacimenti di film o generi del passato che come sempre si affastellano nelle stagioni cinematografiche, tra nuovi kolossal biblici e tentativi di restaurare un filone di fantascienza credibile, uno dei film più enigmatici dell’anno resta a nostro parere quello dedicato alla riscrittura di Walter Mitty. Il suo risultato non è solo inferiore all’originale per fattura e per il suo sopravvalutato interprete, quando per l’inadeguatezza dell’assunto: chi si dedica ancora a fare sogni mostruosamente proibiti nell’era dei talent e dei social media, ovvero del delirio egomane dell’uomo qualunque che si erige a primo ministro, critico, filosofo?

Nell’era in cui si ripropone, inevitabilmente livellato al ribasso fino al ridicolo, il mito dell’uomo che fa da sé, dell’eclettico in grado di chattare di tutto e tutti, di tranciare giudizi in grado di spezzare le reni a chiunque, il sognare ad occhi aperti di Walter Mitty non sembra proprio avere alcuno spazio di plausibilità possibile.

Eppure è proprio a lui che si ispira Saul Karoo, l’antieroe di Karoo (Adelphi, pp. 459, € 20) di Steve Tesich, lo sceneggiatore di alcuni film abbastanza importanti per il cinema americano degli anni ottanta come All American Boys (con cui vinse anche un Oscar nel 1980), Uno scomodo testimone e Gli Amici di Giorgia di Arthur Penn.

Il modo in cui Saul Karoo arriva ad immaginare un film che si ispira a Walter Mitty, più precisamente una sua versione al femminile, è abbastanza avventuroso è occupa una buona metà di questo divertente e intrigante romanzo. I lineamenti del suo carattere rispecchiano quelli del classico antieroe della letteratura ebreo-americana. È inadeguato rispetto a qualunque standard, a qualunque ruolo sociale, senza tuttavia sentirne la colpa se non ad un livello molto superficiale, potremmo dire ciarliero. Come marito ha disatteso la bella e ricca moglie Dianah, dopo anni e anni di bugie e omissioni. Come padre ha deluso il figlio adottivo Billy fino alla disperazione. La sera in cui lo incontriamo per la prima volta, è il 26 dicembre, in tv ci sono le immagini del dittatore romeno Ceausescu ormai caduto in disgrazia, e Karoo riesce a mentire sia al figlio che alla moglie, tradendone i residuali moti di affetto nei suoi confronti.

Il suo unico problema, quello su cui il suo monologare interiore si concentra più di tutti, sembra essere solo quello di non riuscire più ad ubriacarsi, o meglio, tutti fuori lo vedono già stracotto dai fumi dell’alcool, ma lui, evidentemente ormai abituato a qualunque performance, dalla più divertente alla più patetica, non è ancora soddisfatto nemmeno quando le gambe si muovono orizzontalmente come in un musical vecchio stampo.

Il lavoro di Saul Karoo sarebbe quello di sceneggiatore ma ormai si è specializzato nel ruolo di medico delle sceneggiature altrui, di ri-scrittore, proprio nel decennio (gli anni ottanta) che ha portato questa pratica al suo livello di attrazione teorica più elettrica. Lui si definisce un «medico delle sceneggiature» al servizio dei pochi, grandi mogul dell’industria cinematografica americana che in quell’epoca ancora è lecito incontrare e che presto saranno anche loro soppiantati dai manager di patatine o di salsicciotti dei nostri tempi.

«Sono un piccolo ma ben remunerato ingranaggio- così si descrive- dell’industria dell’intrattenimento. Aggiusto sceneggiature scritte da altri. Riscrivo. Taglio e sistemo: taglio il superfluo e sistemo quel che resta. Sono uno scribacchino di professione con un’abilità che ha finito con l’esser considerata talento. A Los Angeles le persone che fanno il mio lavoro vengono chiamate ’scribacchini di Hollywood’. Per qualche motivo, l’espressione ’scribacchino di New York’ non esiste. A New York uno scribacchino viene chiamato Doc».

E così, sperando di solleticarne l’ego, lo chiama il vecchio, scafatissimo Jay Cromwell, il produttore, per chiedergli di rimettere a posto l’ultimo lavoro di un vecchio maestro, a cui nessuno osa confessare il risultato al di sotto delle aspettative. Il fatto è che una volta aperta la busta gialla che contiene la videocassetta e visionato, il film pare a Karoo un vero capolavoro impossibile da profanare.

Ma il cinema, metà arte e metà fabbrica, non si può permettere questa riverenza e accetta lo stesso l’incarico. Se profanazione dovrà essere, questa è l’idea, profanazione sia, tanto più grande in quanto capace di sconfinare dallo schermo alla vita delle persone che ne sono coinvolte.

È in definitiva il sogno di tutti i cinefili, di tutti i festivalieri, di tutti quanti vedono quattro, cinque, sei film al giorno, troppi per qualunque persona normale e poi iniziano a vagheggiare sconfinamenti dei personaggi dai recinti diventati troppo stretti della trama e a farli viaggiare nella propria fantasia liberamente.

Più volte facendo questi discorsi si rischia di andare a finire nel pirandellismo d’appendice, nel filosofema tanto astratto in quanto basa le sue uniche zampette sugli evanescenti fotogrammi.

Ma questo personaggio creato da Tesich vent’anni fa (lui se n’è andato nel 1996) crede nella possibilità di redimere la vita di un personaggio dentro quel film che solo lui ha capito essere perfetto. Il fallimento totale della sua vita di uomo, marito e padre, gli consente in fin dei conti di potersi permettere il lusso di essere nostalgico, di credere ancora nell’ottimismo e di trasformare, come dicevamo all’inizio, questo film in una commedia à la Frank Capra. Riprendendo gli scarti di pellicola, li vuole rimontare per costruire un nuovo film che non solo renda felice con i suoi incassi lo spietato produttore, ma per una volta anche il personaggio della cameriera che da figura secondaria diventa la protagonista, la Walter Mitty al femminile che libera la sua immaginazione.

Questo sarà il suo film più del vagheggiato script sull’Odissea ambientata nello spazio profondo a cui pensa da anni, consapevole che nessuno sentirà mai il bisogno di investirci centinaia di migliaia di dollari.

Riscrivendo il capolavoro perfetto del vecchio Arthur Houseman, Karoo cerca di rimettere per una volta in ordine le cose, lui che per tutta la vita se ne è fregato di come andassero e del peso che avessero, per lui e per gli altri. Ma i film, come diceva Fassbinder, liberano la testa, non salvano la vita come pensa di poter fare Saul Karoo.