C’è un sortilegio che aleggia sulla prima riunione della cabina di regia del centrodestra e ancora prima sull’incontro tra il leader azzurro e i tre ministri forzisti ribelli, nella nuova residenza romana del signore d’Arcore, villa Grande. L’incantesimo si chiama ddl Zan: è stata quella vittoria piena della destra a galvanizzare tutti e appianare molte tensioni. Il colpo messo a segno permette di assaporare il Quirinale. Se lo confessano apertamente i convitati, non solo i due leader e i ministri ma anche Tajani, la pretoriana numero uno Licia Ronzulli, l’eterno Gianni Letta: «La compattezza sulla Zan dimostra che ce la possiamo fare». «Non siamo autonomi ma siamo decisivi», si compiace Salvini. Ma incide a fondo anche l’ombra della disastrosa sconfitta nelle comunali, un segnale che almeno Salvini e Berlusconi sembrano aver colto. «Cerchiamo di restare uniti o il Pd governa tutta la vita», avverte Salvini. Non parla a vanvera e ormai lo sanno tutti.

Almeno fino all’elezione del prossimo presidente le tensioni saranno davvero messe in sordina, sia nei singoli partiti che nella coalizione. Tenute sotto traccia, non cancellate. Nell’incontro con Berlusconi che ha fatto da aperitivo, i ministri ribelli assicurano lealtà, sostegno alla sua indiscussa leadership e alla ancora ufficiosa corsa per il Colle. Poi però fanno sapere di aver sostenuto anche con il fondatore che «i nodi politici restano e andranno risolti». A partire da una maggiore incisività «della linea moderata ed europeista di Fi». La proposta di un collegamento più stretto tra i gruppi parlamentari di entrambi i partiti e le delegazioni parlamentari è accolta sì, ma con scarso entusiasmo. «C’è già e sta funzionando bene», sottolineano i ministri azzurri. Sanno che l’obiettivo finale dei vari coordinamenti messi in cantiere è un ruolo molto maggiore di Salvini nei rapporti con il governo e soprattutto con Draghi. La cosa non gli fa certo piacere, come neppure alla delegazione leghista. Lo stesso Salvini avverte la necessità di calmare le acque. Assicura massima fedeltà al governo. Esalta il rapporto con Draghi. Abbassa i toni. Persino i ministri forzisti, i più apertamente irritati per le sparate tribunizie del capo leghista, fanno filtrare una certa soddisfazione per gli elogi al premier e al governo pronunciati dal reprobo.

Ma la nuova strategia della destra passa per gli obiettivi concreti, non per i toni più o meno concilianti. Sono tre: finanziaria, legge elettorale e Colle. Sulla finanziaria la mission è ottenere nuovi vantaggi per le partite Iva e strappare abbassamenti delle tasse. Sul fisco la partita è aperta e la sintonia almeno tra Berlusconi e Salvini su quel fronte è totale. Ma se la tensione dovesse salire il contrasto tra i leader e le delegazioni al governo si riprodurrebbe inevitabilmente. Sulla legge elettorale la posizione è netta e appare più granitica di quanto non sia in realtà: maggioritario a tutti i costi, anche se buona parte di Fi preferirebbe tenersi le mani libere con il proporzionale. Sul Colle, poi, l’impegno per una linea comune era fuori discussione sin dall’inizio.

Al pranzo, limitato ai partiti di maggioranza, non partecipava Giorgia l’oppositrice. I tre leader si incontreranno la settimana prossima per decidere stavolta per tempo i candidati delle amministrative del prossimo anno. Lei però ci tiene a farsi sentire anche subito: «Berlusconi avrebbe comunque il sostegno di FdI. Il centrodestra ha i numeri per essere protagonista in questa battaglia». Quanto reggerà la ritrovata unità della destra dipenderà proprio dall’esito di quella battaglia.