Nei prossimi anni intorno al gas si giocheranno delle sfide che solo in minima parte sono state comprese e che lo stesso confronto elettorale tende a ignorare. Il blocco da parte della marina turca alla piattaforma di Eni al largo di Cipro è infatti solo la punta dell’iceberg di una corsa all’accaparramento di nuovi giacimenti al largo di Israele, Egitto e Libano di cui con sempre maggiore chiarezza si stanno definendo i contorni in questi mesi.
Apparentemente nulla di nuovo, salvo che questa volta i pozzi dovrebbero essere in mare invece che nei deserti medio orientali. E, in teoria, come Paese ne avremmo tutto da guadagnare da una maggiore quantità e diversificazione degli approvvigionamenti con tubi che attraverserebbero il nostro Paese come piattaforma europea del Gas.

In realtà la storia è molto più articolata e complicata. Perché l’Italia, come tutti i Paesi europei, si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas serra al 2030 attraverso politiche di spinta alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. E questi obiettivi, sia in Italia che per gli altri Paesi europei, difficilmente sono compatibili con un aumento dei consumi di gas.

Al contrario, secondo tutte le analisi, malgrado si tratti della fonte fossile con minori emissioni di gas serra, quegli obiettivi sono compatibili solo con una riduzione dei consumi che tra l’altro è già in corso da qualche anno. Visto che in Italia continuiamo ad avere consumi molto più bassi che nel 2005. Ma allora cosa ci faremo con tutto questo gas? E’ a questa domanda che oggi nessuno è in grado, o vuole, rispondere. Ma nella realtà sta qui una delle ragioni, insieme al prezzo del gas considerato troppo basso e altalenante, per cui la corsa all’estrazione e alla costruzione di nuovi gasdotti e rigassificatori in realtà sia molto più lenta di quanto appaia.

Pochi se lo ricordano ma nel 2006 la costruzione di nuovi impianti di gassificazione era considerata una priorità nazionale, con 15 progetti presentati e l’approvazione di procedure speciali da parte del Governo. Nel frattempo i due impianti che sono stati costruiti, a Livorno e Rovigo, non si possono considerare due successi e hanno chiesto un contributo in bolletta. Inoltre nel territorio italiano continuano le proteste nei confronti dei gasdotti, non solo per il famoso Tap in Puglia ma anche per un nuovo gasdotto che dovrebbe attraversare una zona a rischio sismico in Abruzzo. È evidente che di fronte alle proteste oggi diventa sempre più difficile rispondere con toni arroganti e la tesi che sono solo sindromi Nimby (l’acronimo inglese per dire non costruitelo nel mio cortile), perché nessuno riesce a spiegare quali fabbisogni debbano soddisfare i nuovi progetti.

Se poi consideriamo che il potenziale di biometano proveniente da agricoltura e da discarica nel nostro Paese è di almeno 8 miliardi di metri cubi, potremo ritrovarci tra qualche anno ad avere una situazione in cui di gas nei nostri tubi ne circolerà davvero molto di meno e prodotto in Italia. Insomma, ci troviamo di fronte a un vero scontro tra interessi e tra visioni alternative del futuro.
Intanto, nel Decreto che introdurrà il Dibattito Pubblico sulle infrastrutture in Italia è previsto che riguardi ferrovie, autostrade, elettrodotti ma che escluda proprio i gasdotti.

Non si comprende se sia arroganza o miopia, ma se davvero in un quadro così complesso in Italia e nel Mondo intorno alle sfide del gas, qualcuno pensa di poter usare la forza per realizzare i progetti è davvero fuori strada. Piuttosto diventa oggi più che mai importante tenere assieme i pezzi del mosaico, capire quanto sta avvenendo in Italia e in un Mondo dove gli obiettivi climatici non saranno più un tema da affrontare saltuariamente a qualche consesso delle Nazioni Unite, ma la bussola di un cambiamento oramai non più rinviabile.