La loro comparsa non fu accolta da grandi consensi, anzi. Quando l’Alitalia targata Etihad presentò le nuove divise per le hostess, le critiche furono molte. Ora si può aggiungere che il nuovo look non ha nemmeno portato fortuna all’azienda e ai suoi dipendenti, minacciati di licenziamento e corposi tagli agli stipendi per risolvere una crisi pesante. A dir la verità, già allora quelle mise dicevano che in compagnia si guardava più alla nostalgia che al futuro. Quei tubini aderenti, le giacche avvitate, il foulard legato al collo, la borsa rigida e ingombrante come una valigia, la bustina in equilibrio precario sulla testa, il capello rigorosamente legato, tutto ciò evoca uno stile anni ’50 e un tipo di donna strizzata, quasi ingabbiata dentro i vestiti.

Proprio nei giorni in cui è diventata ufficiale la crisi, mi è capitato di viaggiare su Alitalia e rivedere in diretta le acrobazie che le hostess devono fare per destreggiarsi dentro all’attuale divisa. Difficile, con quegli abiti cuciti sulle curve, alzare le braccia per sistemare i bagagli, costrittiva quella camicetta chiusa fino al collo, molesto quel foulard che cade continuamente in avanti, poco pratici i pantaloni senza tasche. E poi, oppressivo l’obbligo di legarsi i capelli, perché non tutte amano o stanno bene con la chioma alla Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, fra l’altro impossibile da eguagliare se non si ha a disposizione un parrucchiere da cinema. Chissà perché, quando qualcuno deve vestire le hostess, le pensa sempre con quel certo cliché di donna curvosa, sorridente, accudente, un po’ madre, un po’ moglie, un po’ possibile amante. È un modello di donna che andava per la maggiore ai tempi dei nostri nonni, o padri per quelle meno giovani di noi, ma evidentemente ha sempre una forte presa su un certo immaginario maschile.
Ora, la moda anni Cinquanta ha avuto grandi maestri di stile e molte di noi amano evocarla vestendosi con pezzi che la ricordano, ma c’è molta differenza fra un copia/incolla e una citazione. È la stessa differenza che c’è fra la nostalgia e la reinterpretazione. Nel travestimento à l’identique è sempre forte il rischio di cadere nel patetico, che poi rasenta il ridicolo. Ci si salva solo se si inserisce un colpo di genio, un’invenzione, qualcosa che va oltre o che spiazza. Infilare sopra teste e corpi moderni un costume dell’altro ieri, vuol dire non tener conto dei cambiamenti e delle nuove esigenze. E poi, chi l’ha detto che per essere femminili si deve anche stare scomode?

Se nel programma di risparmio futuro l’Alitalia inserirà per le hostess l’obbligo di pulire i gabinetti, le voglio vedere chinarsi, sfregare, sciacquare e aspirare con addosso quelle divise e quei tacchi? Forse permetteranno loro di slacciarsi la camicetta e mandare al diavolo il foulard, ma colpisce comunque l’idea che, per risparmiare, uno dei primi pensieri sia stato quello di abbinare le hostess ai lavori domestici. Come forma di protesta potrebbero fare lo sciopero della divisa. D’ora in poi, indossate solo ciò che vi piace.
Mi viene in mente un episodio della mia infanzia. Erano gli anni Sessanta, avrò avuto sei o sette anni e, fra le fantasie su cosa avrei fatto da grande, c’era la hostess che ai miei occhi faceva un lavoro bellissimo perché viaggiava tanto (cosa cui ambivo più di tutto). Un giorno dissi a mia madre, che era sarta e cuciva bellissimi abiti anni Cinquanta: «Da grande voglio fare la hostess». Lei aspettò un attimo, poi senza guardarmi rispose: «Mah! Alla fine sono solo delle cameriere per dei ricchi che volano». Misi quell’idea da parte per sempre. E chiedo scusa alle hostess.

mariangela.mianiti@gmail.com