Negli appunti preparatori al suo Passagenwerk, Walter Benjamin definì il rapporto tra forme simboliche e modo di produzione capitalistico col termine di espressione (e non con quelli di struttura e sovrastruttura). Kristin Ross, nella nuova edizione de Rimbaud, la Commune de Paris et l’invention de l’histoire spatiale (Les Prairies ordinaires), segue un metodo simile studiando il legame tra l’opera di Rimbaud e la Comune di Parigi: occorre cercare le «strutture comuni della vita quotidiana – l’immaginario sociale dello spazio e del tempo» e del linguaggio poetico. Lo spazio sociale è simultanamente ordine economico e simbolico e disegna l’orizzonte di senso della vita quotidiana (un termine che Ross riprende da Henry Lefebvre). Perciò Marx definiva la Comune come «esistenza in atto».

Il termine spazio sociale va del resto inteso in senso proprio. Le strutture di potere e il modo di produzione dominante (così come le esperienze che intendono combatterli) si inscrivono simbolicamente e materialmente negli spazi urbani, nella maniera in cui sono divisi e amministrati, nella forma biopolitica entro la quale sono distribuite le vite individuali e le loro relazioni all’interno di essi. L’«esistenza in atto» della Comune è una rivoluzione della geografia della città. Durante l’assedio, compaiono nuovi modi di incontrarsi e di riunirsi, conseguenza e causa di diverse condotte e comportamenti. La rivolta induce l’intuizione di un «tempo saturo», in cui ogni istante acquista la potente densità di un possibile punto di svolta della storia.

L’atto fondante

La Comune non è solo una rivoluzione politica; riarticola infatti l’ordine simbolico della vita quotidiana. Come nei rapporti sociali così nella distribuzione e nella codifica di nuovi spazi essa segue un principio egualitario e antigerarchico. La Comune ha messo in questione prima di tutto la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e la gerarchia di valori che ne conseguiva. Non per caso la distruzione della colonna Vendôme suscitò così tanto scandalo da divenire l’atto emblematico della Comune: segno, per alcuni, della sua barbarie e del suo disprezzo per il passato e la storia. Ma la colonna era nata come fondazione e propaganda di uno spazio sociale politicamente determinato: essa celebrava le glorie militari dell’Impero e dunque una definita gerarchia di poteri, a cui veniva sottomesso lo spazio geografico. La colonna era il simbolo dell’incatenamento e dell’incantamento dei molti all’Uno verticale e convergente dello Stato. Distruggerla indicava la volontà di cancellare questa gerarchia, di sostituirla con una diversa distribuzione sociale della vita.

La rivolta della Comune procede dalla liberazione della vita quotidiana verso l’emancipazione economica, investe la sfera del riconoscimento, dell’intersoggettività, la distribuzione degli spazi urbani, la gerarchia e la divisione del lavoro. È in opposizione assolutamente radicale al lavoro astratto. Come ha sostenuto Lefebvre, la vita quotidiana è una terra intermedia fra soggettività e oggettività, è il codice simbolico che definisce le forme di esistenza, di comunicazione, di relazione. Allo stesso tempo, è il modo specifico in cui l’individuo patisce dell’ordine sociale dominante.

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Il rapporto tra il linguaggio poetico di Rimbaud e lo spazio sociale della Comune non si può definire come se il primo fosse un riflesso passivo del secondo: neanche però si può ricondurre all’«autonomia dell’arte» o ad una reciproca estraneità. Rimbaud non si riferisce sempre e necessariamente a fatti o episodi della Comune, non ne versifica l’ideologia. La sua scrittura non è autonoma dallo spazio sociale, ma allo stesso tempo non è un suo effetto.
La poesia fa parte delle strutture linguistiche in cui lo spazio sociale prende forma e dicibilità. Usando un termine di Benjamin si potrebbe definire tale rapporto come somiglianza immateriale. La mimesi delle strutture dello spazio sociale da parte dell’arte, coesiste con l’atto immaginativo con cui essa produce uno scarto e un trascendimento rispetto alla situazione esistente. Se Rimbaud può esser detto «il poeta della Comune» ciò non vuol dire che ci sia solo un rapporto mimetico tra i suoi versi e l’evento storico: essi trasfigurano inoltre, utopicamente, le forme di vita della Comune, al di là della sua stessa sconfitta e della sua imperfezione politica. L’arte non è in questo diversa per natura dalla soggettività della vita quotidiana: esistenza che emerge e produce uno scarto, sia pur minimo, rispetto alla necessità della situazione.

Alcuni esempi significativi mostrano in cosa consista la «somiglianza immateriale» tra lo spazio sociale della Comune e la poesia di Rimbaud. Se la colonna Vendôme è espressione del potere imperiale, una forma di vita definibile come sciame caratterizza sia lo spazio sociale della Comune, sia lo stile di Rimbaud. Lo sciame è la pluralità della moltitudine assunta positivamente, così come il termine plebe serve quasi sempre a indicarla negativamente. Lo sciame è una plebe divenuta connessione simbolica di differenze. Esso ha la molteplicità polimorfa del desiderio, è un movimento coordinato di diversità: «La poesia di Rimbaud è la musica dello sciame: un’agitazione, una vibrazione, rapide e ripetute, un campo di forze di frequenze oscillanti tra la minaccia e la quiete». A sciame, non come colonne militari, si muovono le masse di Parigi, «in fraterno disordine», nei mesi della Comune. A ciò corrisponde un movimento ritmico della poesia di Rimbaud. L’ordine gerarchico delle frasi è rovesciato e sostituito dal montaggio parattatico del disparato. Con una certa audacia, la Ross lo considera come l’equivalente stilistico delle barricate erette nelle vie di Parigi, e lo sconvolgimento della sintassi nell’ultimo Rimbaud sarebbe in analogia col rifiuto delle gerachie sociali.

Un rifiuto del lavoro

Non a caso Rimbaud attinge i suoi materiali linguistici agli slogan o a detti popolari, che si ribaltano improvvisamente in cifrario esoterico della rivolta, ma con essa mantengono comunque una relazione definibile. La poesia trasforma, ma non rinnega i suoi contenuti reali. Nella poesia di Rimbaud avviene un continuo ri-uso, détournement di termini inizialmente usati per denigrare l’operaio pigro, insolvente, renitente al lavoro. Così ivresse non indica più l’ubriachezza molesta dell’ozioso, ma l’esaltazione della rivolta e l’impulso dionisiaco dell’essere in comune. La «pigrizia» diviene un momento di riappropriazione del corpo, di dilatazione del tempo, e l’opposizione radicale al tempo di lavoro cronometrato e astratto del capitale. Il rifiuto del lavoro astratto e parcellizato è del resto una delle intenzioni più profonde della rivolta della Comune. L’operaio «lussurioso» diventa il profeta di un corpo utopico, capace di prefigurare una indefinita possibilità di liberazione del vivente.

Il Bateau ivre diviene allegoria della liberazione dalla merce (il grano fiammingo ed il cotone inglese) e dagli «equipaggi», che trattengono e soffermano sotto il potere: «Io ero incurante di tutti gli equipaggi,/ portavo grano fiammingo e cotoni inglesi./ Quando coi miei trainanti lo schiamazzo è finito/ i fiumi mi hanno lasciato scendere dove più volevo».