«Come è cambiato il centro del Cairo», osserva Mustafa guardando l’affollata via Talaat Harb, che divide in due il cuore antico della metropoli egiziana dalla piazza omonima fino a via 26 Luglio. Anche piazza Tahrir sta cambiando aspetto dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi. I palazzi, che si affacciano sulla piazza, abitati da egiziani o stranieri benestanti, sono tappezzati di pubblicità che coprono le impalcature per i lavori di ristrutturazione delle facciate di questi edifici dei primi del Novecento. E così il Mogamma, il palazzo delle amministrazioni pubbliche, per mesi nel mirino dei laser psichedelici di giovani ultras e attivisti, è ora coperto di un bianco che sembra finto agli occhi di chi è abituato al grigio dell’edificio che racchiude i più complicati gangli della burocrazia egiziana.
Ma nella nostalgia di Mustafa c’è qualcosa di vero. La via, dedicata nel 1954 all’economista Talaat Harb, è irriconoscibile. Molti giovani svantaggiati hanno trasferito il loro pathos rivoluzionario nella più lucrativa arte della vendita di vestiti. E così si sentono le urla strazianti di giovanissimi che, dall’alto di disordinate bancarelle, occupano entrambi i lati della strada, rendendo impossibile il passaggio a vetture e passanti. Chi passa per via Talaat Harb, dove sorge anche il Palazzo Yakoubian di Alaa Al-Aswany, è ora aggredito dai loro schiamazzi aggressivi, dal lancio di vesti alla rinfusa.
Ma il nuovo volto del centro del Cairo, su via Sherif, è riscritto da stranieri che hanno deciso di fare del Cairo la loro seconda patria. E così una giovane americana ha aperto il bar Kaffein. Esclusivamente arredato con i mobili dell’Ikea di Tagammu al-Qamis (periferia residenziale del Cairo). «È stracolma di ricchi egiziani perché i prezzi sono altissimi per gli standard del paese», ci dice la donna mentre fa rientro nel bar con le borse dell’Ikea. E così la multinazionale del mobile, sbarcata in Egitto, è qui simbolo di opulenza più che di omologazione.
Tra l’altro non si contano gli svedesi che hanno aperto ristoranti in piazza Tahrir o le statunitensi intenzionate a cambiare cittadinanza per un amore fugace con un egiziano. Oltre alle birrerie del centro (da Cap d’Or a Horreya, da Stella al club greco di piazza Talaat Harb e piazza Ramsis), alle terrazze dei grandi alberghi (Carlton e Happy City per tutti) sono tanti i luoghi del centro riportati in vita dalle rivolte. A partire dal cinema Radio fino ai night club per danza del ventre che hanno ospitato il Festival D-Caf la scorsa primavera. E, tra questi, una vera e propria perla rara: il cinema Zawya, alle spalle del cinema Odeon. La minuscola sala, gestita dalla famiglia del più grande cineasta egiziano, scomparso nel 2008, Youssef Chahine, regista di Caos e Bab al Hadid, ospita le pellicole del vecchio cinema egiziano che sembrano tornate a nuova vita dopo il forzato laicismo imposto dall’esercito.
A West el-Balad non manca la buona musica. Se il Makan, la piccola sala a due passi di piazza Lazogli, continua a mietere successi con la musica e le voci della musica sudanese, tra cui spicca il tono penetrante di Sheikh Zain.
Nel minuscolo vicolo all’incrocio tra via Mohammed Mahmud e via Farid, dove continua il via vai dal venditore di succhi freschi e canna da zucchero, fervono i preparativi per le danze nubiane. Nel piccolo teatro al Dammah, il centro Mastaba si esibiscono i Nuba Nour. Vengono introdotte giovani donne dai vestiti colorati che danzano ascoltando le parole e i suoni di giovani musicisti vestiti di bianco. Il ballo diventa all’improvviso vorticoso insieme al ritmo del canto in dialetto nubiano.