Sotto la superficie della cronaca, con le parole sopraffatte dall’uso ripetitivo che se ne fa, scorre una narrativa mai esplicitata, ma tacitamente e immediatamente percepita. Questa narrazione applica all’immigrazione lo schema del narcotraffico.

C’è un cartello (o più cartelli) che manovrano gli scafisti (corrieri), ci sono governi e polizie corrotte che li coprono, ci sono centrali di smistamento in Europa. E, naturalmente, c’è la mercanzia: quell’umanità in fuga dalle più diverse catastrofi che rischia i propri averi e la propria vita nella traversata del mare. E che qualche approfittatore nostrano considera, ma non è vero, più redditizia degli stupefacenti. I trafficanti, piuttosto spietati, esistono e anche il confuso contesto politico-militare che ne consente, complice, l’azione. Ma lo schema si completa implicitamente con un elemento decisamente ripugnante: i migranti avrebbero sulle società europee lo stesso effetto della droga in termini di inquinamento della presunta purezza, di trasgressione delle regole di convivenza, di indebolimento dei legami sociali e di assorbimento indebito delle scarse risorse assistenziali degli stati. In una versione solo apparentemente meno efferata il migrante rivestirebbe invece la parte del tossico, colpevole di cercare scorciatoie per il paradiso, e pronto a farsi spacciare dagli scafisti il sogno di un’Europa immaginaria. Meritevole, dunque, di essere disintossicato a forza in qualche lager libico. Questo schema, che certamente entusiasmerà la destra xenofoba, sottende la riduzione del problema dell’immigrazione (che almeno in partenza è sempre e solo clandestina) alla lotta contro i trafficanti di fuggiaschi.

È la via più diretta per spacciare un fenomeno storico come emergenza criminale, un problema di politica globale come una questione di sicurezza (degli uni a scapito degli altri). Tutti sanno, beninteso, che non sono gli scafisti la causa delle migrazioni e neanche dell’impossibilità di tenerle sotto controllo, che è la domanda a creare l’offerta e la chiusura a produrre soluzioni fuori dalla legalità. E, tuttavia, i media sono concentrati su questa messa in scena della guerra agli scafisti e alle Ong sospettate di intelligenza con il nemico.

Proviamo a simulare un semplice scenario mettendoci nei panni di un trafficante. Caricando di disperati un natante del tutto inadeguato a raggiungere l’altra sponda, e sempre più frequentemente manovrato da un nocchiero scelto tra i passeggeri stessi, segnalerà via radio le coordinate del naufragio programmato.

Per le unità di soccorso non vi è altra scelta allora che lasciare al loro destino i naufraghi, poiché la segnalazione proviene dai trafficanti e il soccorso internazionale rischia di rientrare nel pacchetto che costoro vendono agli imbarcati, o soccorrere comunque le persone in pericolo di vita. Questa seconda scelta rende la Ong che la adotta rea di alto tradimento, meritevole di messa al bando e l’imbarcazione di essere catturata. Per il trafficante, comunque vada a finire, l’affare è concluso e la domanda non sarà scoraggiata perché non si tratta di un mercato di generi voluttuari e i fattori che lo alimentano lavorano a pieno ritmo.

All’opinione pubblica europea si potrà rivendere un “successo” nella lotta contro i trafficanti di esseri umani. Con il messaggio sottaciuto, perché impronunciabile, che un buon numero di affogati funzionerà da deterrente.

A completare l’intera rappresentazione di fronte alle coste libiche incrociano Ong che hanno firmato il codice di comportamento stilato dal ministro degli interni Minniti e altre che non lo hanno firmato, una nave nazifascista (speriamo resti l’unica) che da loro la caccia, la o le guardie costiere libiche delle quali ben poco si sa, la guardia costiera italiana e la marina militare, nonché quella del generale Haftar che minaccia di bombardarla, scafisti e relitti carichi di disperati. A suo tempo le acque della Tortuga dovevano essere molto più tranquille.

Alle spalle di questa specie di battaglia navale, un’Europa i cui membri cercano di truffarsi a vicenda e l’Unione che, quando si pronuncia richiamandosi ai “valori irrinunciabili”, afferma il contrario di ciò che concretamente lascia fare. Laddove la guerra navale diventa continentale, combattuta sui fronti del Brennero e di Ventimiglia, della Baviera e dei paesi dell’Est. Ma intanto, nella sua sostanziale insussistenza, la crociata contro i contrabbandieri di esseri umani riesce a mettere tutti d’accordo e a coprire i più diversi interessi che si nascondono nel suo cono d’ombra. È la comoda finzione che pretende di conferire perfino una coloritura etica (combattiamo gli schiavisti) al puro e semplice respingimento di una umanità che abbiamo costretto alla fuga o che cerca ragionevolmente di esercitare la sua libertà.