Con un automatismo pigro e feroce sono state sgomberate due occupazioni abitative e sequestrato un centro culturale. E’ successo ieri mattina a Roma: con le consuete e strazianti scene di blindati anti-guerriglia, settanta famiglie in mezzo alla strada, sguardi smarriti di bambini spaventati; pentole e materassi ammucchiati, scatoloni, valigie, cassette, libri, giornali, quaderni, piatti, bottiglie, scarpe, giacche e giacconi, buste e bustone sparsi in ogni dove. Ancora una volta, i senzacasa vengono assimilati a criminali . E centinaia di persone che, mattone su mattone, tramezzo su tramezzo, avevano recuperato edifici abbandonati (due scuole, una a Centocelle e l’altra all’Anagnina, entrambe vuote e dismesse), dopo tanta speranzosa fatica, dopo aver rigenerato e riconvertito spazi degradati e residuali, si ritrovano espulsi, ricacciati nella miseria.

Con l’aggravante che in questo caso pende su di loro un’accusa tanto assurda quanto infamante. Saremmo cioè di fronte a «un’associazione per delinquere a scopo estorsivo». Così sostiene la procura romana, che ha ordinato l’intervento di polizia e carabinieri. In pratica, si ritiene che agli occupanti s’imponeva una sorta di taglieggiamento per poter ottenere o conservare l’alloggio. Quando, al contrario, sarebbe né più né meno il contributo che ogni famiglia deve versare per le spese di gestione generale. Già qualche anno fa, nel 2009, sempre a Roma, si sviluppò un’indagine analoga su un’altra occupazione, un procedimento giudiziario che ben presto derubricò le accuse più gravi e che attualmente è in via di esaurimento.

Cos’è allora quest’improvvisa impennata repressiva? Un gesto zelante di malinteso rigore o un sintomo, un assaggio di operazioni a più vasta scala? Anche la magistratura dovrebbe cominciare a ragionare con categorie più avanzate quando si trova ad agire in quest’ambito delicato, in presenza di condizioni sociali esposte e acutamente disagiate. Lo stesso concetto di legalità, più che un astratto riferimento a gelide normative, avrebbe bisogno di essere rivisitato e, soprattutto, depositato nel reale, connesso con una realtà che definire disperata è perfino riduttivo. Non tutto ciò che è legale è giusto, diceva Piero Calamandrei, e non tutto quel che è ingiusto è illegale.

Se in questo paese si realizzasse edilizia sociale, così come avviene un po’ dappertutto, non ci sarebbero tutti questi edifici occupati. Non è difficile capirlo. E la crisi economica che da anni ci attraversa con ferocia aggrava ulteriormente il bisogno alloggiativo. Forse, più che con gli occupanti di case, la magistratura dovrebbe prendersela con le amministrazioni pubbliche che non offrono sbocchi a quest’emergenza sociale.

Il Comune di Roma ha fatto sapere di essere stato completamente scavalcato dall’iniziativa giudiziaria di ieri mattina. Quasi a segnalare una sorta di dissociazione dall’accaduto: Tuttavia, come è ormai consueto, laddove si registra un vuoto della politica, altri soggetti si sentono autorizzati a intervenire, e spesso con metodi sbrigativi. A Roma sono centinaia le occupazioni, d’ogni genere: abitative, culturali, produttive: forniscono rifugio a chi non sa dove vivere, attivano quei servizi che l’amministrazione non riesce a offrire, sviluppano economie, lavoro, cooperazione. Si autogovernano e si sostituiscono di fatto alla manchevole iniziativa pubblica. Resuscitano spazi che l’incuria e la speculazione accantonano. Succede quindi che un antico teatro torni a pulsare e un cinema abbandonato a riaccendersi, che una stazione tramviaria si trasformi in un centro anti-violenza, che una vecchia fabbrica ricominci a produrre, che un magazzino chiuso da decenni diventi una palestra e inauguri una biblioteca.

Lo stesso centro culturale sequestrato ieri, l’Angelo Mai altrove, è uno degli esempi più entusiasmanti di questa stagione del recupero autogestito. E’ in breve tempo diventato un riferimento dell’eccellenza artistica contemporanea, riconosciuto a livello nazionale e internazionale per la qualità della produzione culturale, frequentato da decine di migliaia di persone. La sua attività è esattamente quella che dovrebbe assicurare l’amministrazione romana, che invece si attarda in un’inconcludenza imbarazzante. Dovrebbe essere ringraziato, l’Angelo Mai altrove (così come il Valle, il Palazzo, il cinema America, ecc.), per quanto offra alla città, per quanto la connoti positivamente grazie alla programmazione di spettacoli ed eventi straordinariamente suggestivi. E invece, assistiamo a un’irruzione poliziesca, a un’aggressione insensata, a una chiusura coatta.

E’ nel vuoto della politica che irrompono le sciagure. Così s’intende governare la città? Non affrontando i problemi, non gestendo le contraddizioni, non riconoscendo le realtà positive che generosamente s’impegnano e si attivano?

Se Ignazio Marino avesse intenzione di cambiare finalmente marcia e cominciare a fare davvero il sindaco di Roma, dovrebbe restituire l’Angelo Mai altrove, a chi l’ha brillantemente gestito e promosso finora. Potrebbe farlo. Lo farà?