Ci allarmiamo spesso per gli sconfinamenti tra i diversi poteri, siamo più distratti quando si tratta di esaminare le degenerazioni che si producono dentro i singoli poteri. Quando scoppia una crisi all’interno di uno di essi rimaniamo spiazzati, spesso privi di adeguati strumenti d’analisi. È il caso della magistratura che è stata frequentemente oggetto di aggressione da parte del potere politico. In questi casi la difesa dell’indipendenza era la reazione naturale, oltre che costituzionalmente obbligata. Ma ora – nel momento in cui si scoprono i legami perversi tra alcuni politici e certi magistrati – le nostre parole risultano incerte, a volte sfuggenti.

Non penso si possa minimizzare il significato dei fatti emersi. Non intendo riferirmi alle responsabilità individuali, che verranno accertate dalla magistratura perugina, voglio invece interrogarmi sulle cause che hanno reso possibile tutto ciò.

OGGI MOLTI DENUNCIANO lo scontro corporativo tra le correnti organizzate della magistratura, altri ricordano il loro ruolo di garanzia del pluralismo associativo interno all’ordine giudiziario. Personalmente ritengo che bisognerebbe porre attenzione alla degenerazione di queste, passate da luoghi di confronto ideale tra diverse concezioni della giurisdizione a gruppi di potere. Non dico che i magistrati oggi si iscrivano alle diverse correnti solo per fare carriera, ma è vero che la distribuzione degli incarichi direttivi segue uno schema di ripartizione tra gruppi. E, in alcuni momenti, sembra essere questo il punto di caduta, che fa venir meno le buone ragioni dell’associazionismo. Sembrerebbe quasi che i motivi collettivi e ideali abbiano lasciato il posto agli interessi personali dei singoli. Può essere che questa sia una visione distorta, determinata dai fatti patologici cui assistiamo e che rischiano di non farci più cogliere le serie motivazioni dell’associazionismo, ma è anche vero che molto attenuata appare la cultura che ne era alla base.

BASTA PENSARE AL PASSATO quando il forte scontro tra le correnti era spesso all’origine di discriminazioni all’interno della stessa magistratura: gli “ermellini da guardia” contro i “pretori d’assalto” erano espressioni sin troppo agguerrite, ma che denunciavano una ben diversa concezione della giurisdizione. Ed era questa distanza che legittimava l’associazionismo e la necessità del vivace confronto. La storia di Magistratura Democratica nasce e si giustifica per questo, nel tentativo di far prevalere una certa visione del diritto, attenta alle garanzie e alla difesa dei più deboli, ponendo al centro la Costituzione come norma da applicare e far valere contro le arretratezze della legislazione ordinaria. Lo scontro fu forte, la battaglia nobile e senza secondi fini. Quanto è rimasto di quella cultura della giurisdizione?

SECONDO ALCUNI – I PIÙ OTTIMISTI – essa si è semplicemente diffusa, permeando ormai l’intero ordine della magistratura. Tutti convinti che il valore della costituzione non possa più essere contestato, almeno dai magistrati. sconfitti gli ermellini, ormai anche in cassazione siedono i giudici d’assalto. in fondo, a voler trarre le logiche – ma forse paradossali – conclusioni da questa prospettiva si potrebbe dire che magistratura democratica ha esaurito la sua spinta propulsiva perché ha vinto la sua storica battaglia. e ormai non rimane che amministrare il presente, gestendo al meglio il potere.

In quest’ottica la copertura dei posti dirigenziali non può che porsi al centro dell’attenzione. gli stessi criteri di selezione che devono indirizzare i membri eletti del csm diventano del tutto indeterminati. se nessuno –- neppure l’organo di autogoverno – osa sollevare il velo d’ipocrisia e far valere in modo trasparente le ragioni di una scelta, non ci si può poi stupire se la distribuzione avvenga in base all’affiliazione correntizia. se fossimo convinti che ormai tutti i magistrati sono eguali per cultura e distinti solo per funzioni potremmo tranquillamente accettare le proposte in circolazione: automatismi di carriera e riduzione del csm ad organo di sola amministrazione, composto da magistrati estratti a sorte. Tanto, uno vale uno.

DIVERSAMENTE POTREMMO pensare che la scelta dei vertici degli uffici giudiziari non abbia natura esclusivamente amministrativa, ma investa pienamente anche le politiche giudiziarie del paese. Se così dovesse ritenersi dovremmo però anche ammettere che non può essere data per consolidata la cultura della giurisdizione, e che anzi essa oggi sembra registrare una forte divisione e un rischioso regresso. Come in fondo dimostra, in termini patologici, la più recente vicenda: magistrati privi di scrupoli che si incontrano con politici indagati per discutere delle nomine degli uffici direttivi. Affari privati in scelte pubbliche. C’è ancora una lunga battaglia da fare dentro la magistratura per affermare una cultura della giurisdizione attenta ai principi della nostra costituzione. E non è solo un fatto di nomine.

QUEL CHE A ME PARE È CHE OGGI, più di ieri, anche tra i magistrati si registra quella stessa divisione che attraversa il paese. Da un lato una rabbia crescente che induce a negare i diritti degli altri, dall’altro una richiesta di tornare alla costituzione ai suoi ideali di solidarietà e tutela dei diritti fondamentali delle persone, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Per questo oggi avremmo bisogno di una nuova e combattiva Magistratura democratica, a nulla invece ci servirebbe un associazionismo amorfo.