Un sogno riportare Tomas Milian a Roma. La città che lo ha sempre amato. Roma che per lui – al contrario – si leggeva «amor». Una città che non l’ha mai dimenticato. La città dove garzoni di bottega, meccanici, operai, poliziotti indossano tatuaggi raffiguranti Nico Giraldi e il Monnezza (che non sono affatto lo stesso personaggio…).

Quando finalmente Tomas Milian sale sul palco della Sala Santa Cecilia per ricevere il Marc’Aurelio alla carriera, presentato da Sergio Castellitto, la commozione è fortissima. Quell’uomo, all’apparenza trasandato, trucido, come uno dei suoi personaggi interpretati per Umberto Lenzi, Stelvio Massi o Bruno Corbucci, quel cubano romano incarna, cristallizzato in un momento folgorante, tutto il cinema italiano che amiamo.

Milian a stento riesce a trattenere la commozione. Piange. Ringrazia tutti. Ringrazia Roma. Per i presenti è chiaro: un momento irripetibile nella storia del Festival di Roma. Eppure, tutto questo è nulla al confronto dell’ovazione portentosa che saluta Tomas Milian all’incontro con il pubblico. Annunciato da un montaggio musicale che salda insieme la Resa dei conti di Ennio Morricone ed Espanto En El Corazon (cantata dallo stesso Milian), l’attore è accolto da un boato di amore indescrivibile che avrà come conseguenza persino un’invasione del palco con la security travolta e incapace di trattenere l’entusiasmo dei fan.

Se n’era parlato varie volte all’epoca con Marco Müller e Manlio Gomarasca di riportare Milian a Roma. Müller ci aveva dato carta bianca. Gomarasca era alle prese con la finalizzazione del suo libro Monnezza amore mio. Ci sono voluti due lunghi anni, ma ne è valsa la pena. Basti pensare alla sorpresa per Bernardo Bertolucci (ideata da Müller) quando alla Casa del cinema, durante una cerimonia in onore del regista, spunta Milian timido da dietro una tenda. «Tomasino ma che ci fai qui?», esclama Bertolucci allungando una mano per accarezzarlo su una guancia. «Quest’uomo – risponde Milian – ha preso il Monnezza, l’ha ripulito, e ha tirato fuori l’attore che nessuno voleva più vedere». E poi Tomas s’inginocchia e bacia le mani di Bertolucci.

Già perché Tomas Milian, figlio di un ufficiale cubano che si è tolto la vita sparandosi un colpo al cuore davanti agli occhi del figlio, è stato soprattutto un attore immenso, versatile, geniale. Figlio dell’Actors Studio, cresciuto nel culto di Elia Kazan e James Dean, ha prestato il suo volto al cinema italiano più forte e innovativo degli anni Sessanta: Mauro Bolognini, Luchino Visconti, Alberto Lattuada, Citto Maselli, Nanni Loy, Franco Brusati, Renato Castellani, Florestano Vancini, Valerio Zurlini, Carlo Lizzani.

Poi la magnifica stagione dei western sessantottini come La resa dei conti di Sergio Sollima o Se sei vivo spara di Giulio Questi. In Tepepa di Giulio Petroni si trova al fianco di Orson Welles. Al ritmo di tre o quattro film all’anno, Milian passa dagli anni Sessanta al decennio successivo. Film come Beatrice Cenci di Lucio Fulci e Vamos a matar, compañeros di Sergio Corbucci si affiancano a lavori come L’amore coniugale di Dacia Maraini e I cannibali di Liliana Cavani. Interprete in grado di lavorare per stilizzazione e sottrazione oppure spingere a fondo il registro del grottesco. Attore in grado di potenziare esponenzialmente, quasi impercettibilmente, un microscopico dettaglio (basti pensare alla caratterizzazione del generale Arturo Salazar in Traffic di Steven Soderbergh). Con una faccia cui solo Pierre Clementi, Laurent Terzieff o Lou Castel potevano tenere dietro, accoglie l’invito di Dennis Hopper di andare negli Usa e partecipare a The Last Movie, uno dei disastri più geniali del nuovo cinema americano.

 

Cuban-born American actor an Italian citizen Tomas Milian poses during the photocall during the 9th annual Rome Film Festival, in Rome, Italy, 16 October 2014. Tomas Milian will receive the Marc'Aurelio Acting Award during the opening ceremony at the festival that runs from 16 to 25 October. ANSA/CLAUDIO ONORATI

 

Con il personaggio di Giulio Sacchi, marchia invece a fuoco Milano odia: la polizia non può sparare di Umberto Lenzi. La scintilla della follia ritorna in un altro film feroce e delirante, I quattro dell’apocalisse di Lucio Fulci, per il quale l’attore dichiarerà di essersi ispirato a Charles Manson. Spingendo il suo professionismo sino all’autolesionismo, subisce trasformazioni fisiche che riscrivono le leggi dell’immedesimazione di Strasberg.

Poco alla volta, a partire da Squadra volante di Stelvio Massi, il personaggio dello sbirro anarcoide e ribelle diventa la sua seconda pelle. Con Roma a mano armata, film simbolo dell’era del poliziottesco, diretto da un Lenzi in forma smagliante, Milian incarna con veemente ferocia un altro personaggio iconico come il Moretto. Leggenda vuole che Milian odiasse il suo antagonista, lo statuario Maurizio Merli, il commissario per eccellenza del poliziottesco, e che fra le botte sceniche ci sia finito anche qualche pugno vero e uno o due calcioni autentici.

Squadra antiscippo di Bruno Corbucci inaugura una delle serie cinematografiche più longeve e di maggior successo del cinema italiano (che dopo la parentesi di Assassinio sul Tevere si trasforma in quella dei vari Delitti). Nico Giraldi diventa un’icona sottoproletaria, di periferia; un divo da strada. Di classe. Alla stregua di Bruce Lee. In Squadra Antifurto fa la sua comparsa Bombolo, spalla comica di Milian, ex piattarolo passato al cinema (chi si ricorda la manifestazione anti fast-food assieme a Renato Nicolini?). Eppure Milian, che amava con immenso trasporto Nico Giraldi e tutto l’affetto di Roma che questo personaggio che parlava con la voce inconfondibile di Ferruccio Amendola gli ha regalato, riesce a incastrare fra Squadra Antigangsters e Assassinio sul Tevere, La luna di Bertolucci mentre fra Delitto al ristorante cinese e Delitto sull’autostrada, ci infila il sublime Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni.

Squadra_volante_1974

Artista inquieto e senza requie, preferisce abbandonare l’Italia all’apice del suo successo popolare per ricominciare da zero negli Stati Uniti.

Lavora con Abel Ferrara, Tony Scott, Sydney Pollack, Oliver Stone, Steven Spielberg, James Gray e Steven Soderbergh. Appare in Miami Vice e Oz.

Ultima icona sottoproletaria di un cinema italiano che non esiste più, interprete raffinatissimo che ha lottato per tutta la vita con i suoi fantasmi che non hanno mai mollato la presa, Tomás Quintín Rodríguez Milián, nato il 3 marzo del 1933, ha segnato in profondità il cinema e l’immaginario di un’intera cinematografia.

Con una dissolvenza torniamo a Roma, in quella sera quando un’intera città avrebbe voluto abbracciarlo e Tomas Milian a stento riusciva a parlare, travolto dalla commozione.

Un autentico eroe del cinema popolare, Tomas Milian. Di quelli che non si fanno più. Hasta siempre, querido Tomas.