Da sempre il festival Vie si premura di portare a conoscenza del pubblico dell’intera regione padana quanto di nuovo (senza trascurare il «consolidato») va in scena nel mondo, e in particolare in Europa, di qua e di là delle antiche cortine. E soprattutto da est sono arrivate positive sorprese, a Castelfranco e Rubiera dove insieme a molti altri luoghi il festival si è disseminato. Al Dadà di Castelfranco il kosovaro Jeton Neziraj ha presentato, ovviamente in lingua albanese, One flew over the Kosovo Theater. All’inizio lo spettacolo sembra mostrare la conquista della faticosa autonomia dalla Serbia. Alla compagnia teatrale stabile della capitale del Kosovo, Pristina, viene annunciato dal commissario politico robusto e baffuto che da un giorno all’altro verrà annunciata, proprio nella loro sala, la sospirata e traumatica indipendenza. Tutti contenti, e tutti alacri a preparare chissà quali «numeri» per il fatidico appuntamento. Ma il trionfalismo cade, come le illusioni, sotto i colpi della burocrazia e della fame, e delle difficoltà che quella regione stremata da anni di guerra decisa altrove, si troverà ad affrontare da capo.

 

 

Dalla «ufficialità» celebrativa dell’inizio, si svela pian piano l’amarezza e la disillusione di chi ancora una volta si trova vittima, con tutte le sue belle speranze frustrate, di una politica e di una economia totalmente etero diretta, con i nuovi governanti che non saranno migliori degli amministratori di prima. Qualcuno ha volato davvero sul nido teatrale del Kosovo. Per non parlare delle missioni di pace che fanno più danno che bene… A tratti il racconto, e la sua lingua di gesti e parole, mostrano qualche ingenuità, ma certo è talmente forte l’onda emotiva di quegli interpreti/cittadini, da suscitare ammirazione, oltre che rispetto. Neziraj è oltre che regista, autore del testo e di diversi altri. Speriamo di vedere presto altri suoi lavori, che come questo abbiano forza e ragioni da mostrare.

 

 

Altra presenza dall’est più prossimo, è il Teatro giovanile di Zagabria, con il quale il regista Bobo Jelcic ha costruito una strepitosa versione del Gabbiano di Cechov, Galeb come suona lo spettacolo presentato a Rubiera. Inizio all’apparenza disordinato, si cerca di montare uno spettacolo amatoriale, con molta disinvoltura e entusiasmo. Mentre si rivelano nevrosi e dolori che in quella casa si annidano, capiamo di essere dentro il testo di Cechov: in una campagna croata oggi uguale a ieri (non fosse per i jeans e qualche ciaffo contemporaneo addosso ai personaggi), e capiamo di essere noi pubblico il lago sul quale lo spettacolo del giovane Kostia, figlio della vecchia attrice Irina, avrà luogo. E in faccia a noi vengono disposti divani e sedili per gli ospiti. Idea semplice quanto geniale, perché tutto ne viene rovesciato. Straordinari sono anche gli attori, a cominciare dalla furbizia navigata di Irina, fino al sornione Trigorin (vero intellettuale contemporaneo, distaccato all’apparenza, ma pronto a trarre dal ruolo i piccoli vantaggi di vanità ed eros). Un ensemble che appare da noi eccezionale, per la complessità e la compattezza di quella bravura. Spettacolo rivelazione, che nel dramma di quei rapporti frustrati, fa uscire anche tutto lo humour crudele di Cechov.
Ha invece un tono tutto elegiaco, a parte l’infiammarsi necessario di alcuni momenti, il Marat/Sade che Nanni Garella ha tratto dal testo di Peter Weiss (ancora in programmazione all’Arena del Sole di Bologna). A fianco a lui, che in camicia di forza interpreta il marchese de Sade alla guida degli ospiti del manicomio di Charenton nella rappresentazione dell’assassinio di Jean Paul Marat da parte di Carlotta Corday, c’è Laura Marinoni nel ruolo dell’assassina. Tutti gli altri interpreti appartengono al gruppo Arte e Salute, da cui sono assistiti. Marinoni ha un furore recitativo di gran classe, come tutti sanno, e anche i pazienti di Arte e Salute sono ormai allenati a recitare. Con loro Garella ha realizzato spettacoli bellissimi, delle più diverse tipologie. Qui, quel che frena il piacere dello spettatore è un certo «similbrechtismo» con molti brani messi in musica (da Saverio Vita) in rima baciata, e il pericolo di sdolcinare quello che è un dibattito ancora attuale, tanto più in tempi renziani, tra l’estremismo di Marat e il «riformismo a scoppio» dell’altra parte.