Cinquant’anni fa, nella notte tra il 20 e il 21 luglio ’69, due uomini, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, hanno camminato per la prima volta sulla luna, «un piccolo passo per l’uomo ma grande per l’umanità». Con l’undicesima missione Apollo, la relazione tra l’umanità e la luna cambiò status: fu un momento storico, trasmesso dalla Nasa sulle tv di tutto il mondo, uno dei primi avvenimenti su scala globale.

PER CELEBRARE questa data, il Grand Palais invita con una mostra La luna, dal viaggio reale ai viaggi immaginari (fino al 22 luglio) a un percorso che va dall’esplorazione scientifica alle diverse interpretazioni artistiche e letterarie, in duemila anni di storia, attraverso duecento opere circa, da Chagall a Man Ray, Morellet, Mirò, Rodin, Vallotton, fino a Hans Hartung, Kentridge e Nam June Paik. Non è la prima rassegna né l’ultima dedicata quest’anno alla luna: già il Louisiana vicino a Copenhagen ha ospitato un’esposizione sui rapporti con la cultura moderna e il pianeta terrestre.

L’itinerario al Grand Palais inizia con il viaggio reale del luglio ’69. Della documentazione ricorda l’epopea del viaggio, ci sono le prime foto diventate iconiche, pietre lunari. Sono esposti alcuni oggetti, come i guanti degli astronauti o il cibo liofilizzato, che illustrano la vita quotidiana degli otto giorni che i tre uomini (c’era anche Michael Collins, che rimase in orbita) hanno trascorso nella missione Apollo 11. Oggi fanno impressione: nella loro modestia illustrano loro malgrado l’estrema fragilità della tecnologia umana.

NELLA PRIMA SALA, quasi al buio, un’opera di Mircea Cantor, The Second Step, è un calco che riproduce in cemento il suolo lunare con l’impronta di Aldrin. La conquista della luna racconta anche la geopolitica di allora, la rivalità Usa-Urss nella guerra fredda, con l’Unione sovietica che spedì per prima un uomo nello spazio, Yuri Gagarin, ma che poi si lasciò sorpassare dagli americani con lo sbarco del ’69. Il lavoro poetico e tenero di Yinka Shonibare, Vacation, ricorda che non solo i bianchi occidentali hanno vagheggiato la luna: l’artista ha rappresentato una famiglia africana in tuta da astronauta, ma ricoperta da stoffa wax, che cammina sulla luna.

DALL’APOLLO 11, dodici astronauti hanno messo i piedi sulla luna, tutti uomini: due artiste denunciano questa situazione, Sylvie Fleury con un lavoro modesto (First Spaceship on Venus, un missile rosa in stile Tin Tin), mentre Aleksandra Mir presenta l’opera che aveva realizzato per i trent’anni della missione Apollo 11 (la performance su una spiaggia olandese, dove anche lei rifaceva il «primo passo» dell’umanità sulla luna). Kader Attia ci parla dei conflitti attuali, con una luna sfaccettata, che accoglie simboli religiosi multipli (stella di David e mezzaluna musulmana). Nel percorso, c’è posto anche per un focus sullo sfruttamento delle risorse della luna, tornato di attualità in questo periodo in cui si riparla di riprendere le missioni, con un’opera di Gwen Rouvillois.

Prima di camminarci sopra, la luna è stata osservata per secoli. La mostra racconta questa epopea scientifica, iniziando dal cannocchiale di Galileo e dal telescopio di Newton. Mappe, disegni, incisioni, atlanti, dal ’600 a oggi, fino alle prime fotografie e alle più recenti, da quelle degli astronauti ai lunagrammi su cui lavora Lisa Oppenheim, propongono una narrazione della storia di questa conquista della luna «osservata».

PRIMA ANCORA, però, la luna prima è stata sognata. E al Grand Palais sbarcano la letteratura di fantascienza, i romanzi, fumetti e film che hanno al centro il satellite. Tre sezioni presentano poi altrettanti volti della luna dei desideri, tre umori: quella carezzevole (Chagall la dipinge mentre veglia sugli innamorati), mutevole (Abraham Janssens all’inizio del ‘600 illustra L’incostanza della donna), inquietante, la luna nera di Eugenio Lucas Velazquez che a metà ’800 ne fa L’Allegoria del suicidio, temi cupi di Gustave Moreau o Dalì. La minaccia si nasconde anche dietro l’idillio, come nel quadro di William Dyce, Francesca da Rimini, con al centro la coppia formata da Paolo e Francesca e, quasi nascosta, spunta la mano del marito, pronta alla vendetta.

Una sezione, infine, è dedicata alla luna come «persona», incarnata spesso da una donna ma anche da un uomo (in tedesco, per esempio, il termine è maschile, der Mond). Selene, Diana, Chandra, Soma, Khonsu, Thot, Tanit, viene incarnata in tutte le culture umane, dalla Regina della notte del Flauto Magico di Mozart all’Immacolata concezione dei cattolici, in una vicenda di successive riprese e accavallamenti, che oscillano tra il bene e il male. La mostra si chiude con un «invito al sogno», tra opere antiche, moderne e contemporanee, accanto a testi poetici, ispirati a quella luna, contemporaneamente morta e luminosa.

Sabato 20 luglio, alla luna e alle sue «avventure» sarà dedicato uno speciale di Alias tra scienza, complotti, scenari futuristici e molta musica.