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Lo sbando democratico

Lo sbando democraticoMatteo Orfini, presidente del Pd e commissario del Pd di Roma – Foto La Presse

Democrack Il malumore dei consiglieri, Orfini sotto accusa. Nella ’base’ il malcontento dei tempi di OccupyPd. I ’subcommissari’ non hanno saputo mettersi in sintonia con gli iscritti, già tentati dall’abbandono Cuperlo: «Il Pd ha il dovere di andare in consiglio». Morassut: «Quello che succede è un Truman show»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 30 ottobre 2015

Alle cinque e mezza tutti i diciannove consiglieri e i molti dei loro collaboratori presenti alla riunione con il commissario del Pd di Roma Matteo Orfini, sciamano nella terrazza del terzo piano della sede del Nazareno. Una sigaretta, uno sguardo al meraviglioso barocco della Capitale, un po’ di aria fresca nel freddo pomeriggio romano per rompere la tensione; e fare qualche telefonata al riparo da orecchie indiscrete. Nessuno si fida più di nessuno. La riunione-fiume degli eletti in Campidoglio, che dura dalle due del pomeriggio fino a sera, in realtà non si interrompe per la notizia del ritiro delle dimissioni del sindaco, che pure si abbatte come un fulmine su un albero già frustato dalla tempesta, ma perché la discussione è arrivata a un punto di stallo: i sei consiglieri che dovrebbero aggiungere le proprie dimissioni a quelle dei 19 del Pd, purché ’contestualmente’ – è la parola tecnica – ancora non ci sono. O meglio non hanno preso ancora nessun impegno certo. E se i 25 (tanti ne servono per far decadere il consiglio) non si dimettono insieme, appunto ’contestualmente’ (consegnando le firme in un unico foglio protocollato, o recandovisi di persona) i 19 rischiano di immolarsi inutilmente. I malumori nel gruppo dem ormai sono usciti allo scoperto. Tutti verso il commissario Orfini: reo, per molti, di una lunga serie di gesti di arroganza. L’ultimo dei quali è aver tentato l’estrema mediazione con il sindaco, mercoledì sera, portando con sé il fedele assessore Esposito, il torinese juventino che non si è fatto amare per il suo stile saloon, ma nessuno dei consiglieri. Neanche il capogruppo Fabrizio Panecaldo: che non l’avrebbe presa bene.

Eppure dal primo pomeriggio il presidente Orfini è riuscito a piegare i dubbiosi: i zingarettiani Valeria Baglio e Marco Palumbo, Valentina Grippo e Dario Nanni (vicini al sottosegretario Rughetti), la franceschiniana Michela Di Biase (che del ministro è anche moglie), i popolari Maurizio Policastro e Cecilia Fannunzia. Contro i quali c’è chi giura che il commissario abbia usato le maniere forti, avvertendo che chi non accettava di dimettersi si poteva «scordare la rielezione». Risultato: tutti convinti. Punto di mediazione è stata la garanzia che fra i sei dimissionari aggiuntivi non ci saranno l’ex sindaco Alemanno, Alessandro Cochi e Sveva Belviso: e cioè le figure di spicco della scorsa e vituperata giunta. A soccorrere il Pd accettando di dimettersi sarebbero Marchini e Onorato della lista Marchini, il centrista Passucci e il capogruppo Pdl Cantiani. E due della lista Marino, Celli e Dinoi: i cui sì però a ieri sera erano tutt’altro che certi.

«Siamo ormai in un Truman show, una follia», riflette sconsolato Roberto Morassut. Nel Pd ormai regna il caos. Dai vertici alla base. In un crescendo di malumori che si sfoga per lo più contro il commissario. Gianni Cuperlo affida a facebook il suo dissenso su come è stata gestita la crisi capitolina: «Per interrompere una sindacatura votata da 600mila cittadini debbono sussistere ragioni solide e insuperabili», scrive, «Quelle ragioni un partito ha il dovere di spiegarle, dibatterle nei suoi circoli e confrontarle nella sede istituzionale (il consiglio comunale), dove ascoltare le ragioni dell’amministrazione, esporre i motivi di una sfiducia e assumersi le proprie responsabilità davanti alla città. Questa è la sola via che rende trasparente una decisione sottraendola alla logica di scelte consumate nella trattativa tra due o quattro persone».

Nei circoli il malumore cresce come non si vedeva dai tempi di ’OccupyPd’. Quelli di Alberone, Donna Olimpia e Marconi, definiti in precedenza «virtuosi» dalla relazione Barca, mercoledì sono entrati in agitazione sentendosi accomunati dallo stesso Barca, proprio lui, in un’intervista al Fatto, a quelli che difendendo «l’ormai indifendibile» Marino resistono al rinnovamento del Pd. Insomma da bravi compagni ora sono considerati amici dei mascalzoni. Sotto accusa anche la gestione del commissariamento, affidata per lo più a deputati che fanno le riunioni alla camera, considerato un luogo «separato» rispetto al partito reale. Alcuni dei subcommissari nominati da Orfini, poi, non avrebbero saputo mettersi in sintonia con i militanti già tentati dall’abbandono. Con scene anche esilaranti: il subcommissario del XIV municipio Angelo Argento, un ex dc scelto nel comitato dei garanti, entrando nella sede del circolo di Montemario, ha trovato appesa al muro un’artistica falcemartello, cimelio delle battaglie degli edili del quartiere: ed ha chiesto di rimuoverla, spiegando amichevolmente di essere «un anticomunista». Tra lo sbigottimento degli iscritti.

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