Immagino lo choc del povero lettore del Corriere della Sera quando ieri ha aperto il suo giornale preferito, magari sperando di leggere un altro articolo di Francesco Giavazzi su «Perché i greci sono idioti», e invece, si è scontrato contro una cosa mai vista: un’intervista di Andrea Nicastro ad Alexis Tsipras, il capo dei banditi antieuro.

Ospitare in ben due pagine il nemico numero uno della nostra amata Merkel è sicuramente un atto grave. Ma c’è di peggio: nella lunga intervista Tsipras non si è minimamente preoccupato di confermare le notizie che per quattro mesi lo stesso giornale ha autorevolmente propinato ai suoi lettori. Quindi non ha dichiarato guerra all’eurozona e non ha insultato Juncker, non si è messo a cantare Bandiera Rossa né ha esibito il Kalashnikov nascosto sotto la scrivania.

Da buon premier europeista («solo sostenendoci nella nostra lotta contro l’oligarchia l’Europa potrà rilegittimarsi agli occhi dei cittadini europei, ma anche dei greci») si è mostrato preoccupato della stabilità dell’eurozona («Il fallimento della Grecia sarebbe anche il fallimento dell’euro. Sarebbe l’inizio della fine dell’eurozona. Se la leadership politica europea non può gestire un problema che rappresenta il 2% della sua economia, quale sarà la reazione dei mercati per i problemi più grandi?») e alla ricerca di una soluzione concordata. L’esatto contrario della caricatura circolante.

Tsipras ha ripetuto al giornalista italiano quello che aveva detto appena venerdì nel Parlamento greco: la recente proposta di Juncker e Dijsselbloem di tagliare le pensioni e aumentare indiscriminatamente l’Iva «non riflette affatto gli accordi già raggiunti nei negoziati con il Brussels Group». Sono misure di una politica di austerità che per Tsipras e per la stragrande maggioranza del popolo greco, è «fallita» e «le istituzioni devono riconoscere questo fallimento». Altrimenti svanisce ogni speranza di accordo.

Il premier greco annuncia che si accinge all’incontro odierno con Merkel e Hollande con un testo «vicino all’accordo sull’avanzo primario (0,6% per Atene, 1% per la troika)» e con proposte da parte greca «alternative lì dove ci sono richieste illogiche e non accettabili». L’accordo è possibile a condizione che non siano proposti tagli e «misure recessive»: l’accordo deve segnare «l’alba di un nuovo giorno», quando la Grecia potrà «tornare sui mercati con un’economia competitiva».

Anzi, il premier greco ha esteso il suo ottimismo anche sul tema spinosissimo del debito greco, 177% del Pil, che ora sembra sia incluso nell’agenda dei negoziati: «Ci sono soluzioni tecniche che possono evitare un terzo programma di aiuti e contemporaneamente fornire una prospettiva sostenibile a medio termine per quel che riguarda la restituzione del debito greco».

Il fine è «porre definitivamente termine a questa orrenda discussione sul Grexit che rappresenta da anni un freno alla stabilità economica in Europa».

Il rischio di destabilizzazione della Grecia è «un’arma negoziale»? chiede il giornalista. «Non vogliamo mettere paura o ricattare», risponde Tsipras. Ma la Grecia rimane «un paese sovrano che ha il dovere di discutere con tutti la stabilità economica e geopolitica. Voglio essere chiaro: la Grecia riceve prestiti, nessuno le regala i soldi». Quindi, se serve, ci sono interlocutori anche fuori dall’Ue.

Il giornalista chiede anche un commento sulla gaffe di Renzi, quando, sulla base della disinformazione del Corriere stesso, il premier italiano aveva accusato Atene di difendere i baby pensionati.

Ovviamente Tsipras (che non legge il Corriere) è caduto dalle nuvole: «Spiegherò a Matteo che su questo ha sbagliato. Ci siamo impegnati ad abolire le baby pensioni». Quelle che vuole tagliare la troika non sono le baby ma le altre, già ridotte del 44% in questi ultimi quattro anni.

In conclusione: è questo il terribile eversore dell’ordine costituito europeo che teme tanto il Corriere da titolare in prima pagina «Tsipras: le nostre condizioni» e che ha avuto la temerarietà o l’incoscienza di scegliere tra tutti i giornali italiani proprio quello che gli è più nemico.