Se non è rassegnazione, poco ci manca. Il variegato mondo ambientalista tarantino che si batte da oltre un decennio contro la presenza dell’Ilva a Taranto, questa volta sperava davvero in un governo del «cambiamento».
Che le aspettative fossero alte lo si intuì il 4 marzo scorso, quando tra Taranto città e provincia, il M5Se risultò il primo partito con oltre il 50% dei consensi e ben cinque parlamentari eletti. Un successo ottenuto anche grazie alla spinta degli ambientalisti, che pur non essendosi mai schieratisi ufficialmente pro 5Stelle, di fatto ne hanno condiviso in parte i programmi sul futuro. Chiusura delle fonti inquinanti, bonifiche con l’impiego degli operai riqualificati nelle loro nuove mansioni, riconversione economica del territorio tramite le energie rinnovabili e quelle risorse che Taranto può ancora vantare: il mare, il turismo, la cultura, una filiera agroalimentare d’eccellenza, il rilancio del porto più grande del Mediterraneo, un aeroporto base per l’aerospazio ma pronto per i voli civili.

Alla base di tutto però, resta la chiusura dell’Ilva. O, per dirla secondo il contratto di governo di Lega e 5Stelle, «chiusura di tutte le fonti inquinanti». Dicitura ambigua, ma che a Taranto significa solo una cosa. E la premessa affinché un nuovo rapporto con le istituzioni si stesse lentamente creando, la si intravide nella convocazione delle associazioni ambientaliste a Roma lo scorso 19 giugno, durante le consultazioni che il vicepremier Di Maio tenne per ascoltare tutte le parti interessate al futuro dell’Ilva. Un invito ufficiale, un riconoscimento importante: Di Maio quel giorno ascoltò denunce, racconti, testimonianze e raccolse dossier. Con le associazioni che gli ricordarono che il successo del Movimento alle politiche, era figlio delle promesse sull’Ilva che ora andranno mantenute.

A distanza di un mese, tutto pare essere cambiato nei rapporti tra Di Maio, i 5Stelle e il movimento ambientalista tarantino. Che ha colto nell’azione politica del vicepremier non solo una forte indecisione sul da farsi, ma soprattutto l’intenzione di non chiudere l’Ilva, procedendo con la vendita al gruppo Mittal. Pare infatti questa la strada scelta da Di Maio, pressato dalla Lega che vuole l’Ilva aperta e produttiva: i chiarimenti all’Anac e all’Avvocatura d Stato sul bando di gara di vendita del gruppo Ilva, con l’annuncio proprio ieri mattina di aver firmato l’avvio del procedimento interno al MiSe per tutti gli accertamenti del caso su quanto avvenuto nel processo di assegnazione al colosso Mittal, sanno di azioni all’interno di una trattativa. Per far sì che tutto si svolga secondo le regole. Una strategia che potrebbe pagare in parte: è infatti attesa ad horas una nuova proposta di Mittal, per cercare di chiudere la partita con i sindacati ed ottenere il via libera dal governo.

Una scelta politica che però ha già ricevuto un ultimatum dal mondo ambientalista tarantino, con l’appoggio dell’attore Michele Riondino, scaduto ieri. Quando una tromba d’aria abbattutasi sull’Ilva ha generato l’ennesima breve ma intensa invasione di polvere di minerale sul rione Tamburi, generando rabbia e proteste tra i cittadini. «Disattendendo quanto promesso in campagna elettorale e sottoscritto nel contratto di governo – scrivono diverse associazioni – la linea dell’esecutivo lascia presagire un accordo per l’ambientalizzazione del siderurgico. Ipotesi confermata da Di Maio ed altri rappresentanti del Governo. E’ inoltre inaccettabile la totale assenza sul territorio dei parlamentari ionici che non possono più trincerarsi dietro parole come “stiamo lavorando in silenzio”. Il tempo del silenzio è finito, cittadini e lavoratori esigono chiarezza e risposte concrete». I segnali di apertura erano attesi entro ieri: «in mancanza ci vedremo costretti a ritenere questo esecutivo nemico della città, al pari dei precedenti, e come tale sarà trattato». Ieri è arrivata soltanto la polvere di minerale. Mentre l’alternativa resta un piano B che al momento appare più un miraggio che il resto.