Si inaugura oggi, a Milano (fino al 24) Mix, il festival che da ventisette anni perlustra gli immaginari indocili del cinema gaylesbico e della queer culture. Un’edizione, questa, che ha un valore in più, fabbricata resistendo ai tagli alla cultura grazie a una campagna di crowdfunding che ha avuto una risposta entusiasta. A prova di quanto siano necessarie zone di resistenza, forse piccole ma fondamentali di fronte un pensiero che tende sempre più alla formattazione.
«Walk on the Wild Side» rilanciano invece i curatori del festival (diretto da Giampaolo Marzi) per dirci che sono i movimenti inclassificabili, il «lato selvaggio» dell’immaginario a disturbare, e leggi che ci devono essere e devono a tutti garantire la possibilità di matrimoni, famiglie, unioni civili non vanno però sempre insieme al sentimento diffuso. In Francia, il giorno che si festeggia il primo matrimonio gay capita che alcuni comuni censurino il manifesto pudico come un acquarello di Matisse di L’inconnu du lac, capolavoro di Alain Guiraudie, insostenibile proprio perché rivendicazione «inattuale» del desiderio, e fuori dalle norme della «normalizzazione» in cui spesso molto cinema che lavora sul gender (ma non solo) si è negli ultimi anni intrappolato. Il «lato selvaggio» suona perciò quasi come una dichiarazione poetico e politica in un’Italia di pregiudizi, fobie, ipocrisie, riferimenti culturali autoreferenziali.
Nella settimana del festival (fino al 24), si vedranno decine di film (venti solo i titoli del concorso lungometraggi), ci sarà un omaggio a Eytan Fox, il regista israeliano di Yossi&Jagger, tra gli ospiti insieme a Gal Uchovsky, produttore, sceneggiatore, critico, suo compagno da 25 anni. Yossi, il nuovo film di Fox, è quasi un sequel di Yossi&Jagger a dieci anni di distanza che racconta anche le trasformazioni della società israeliana. Identità che mutano in Laurence Anyways di Xavier Dolan, il giovane regista canadese prediletto dalla critica di tendenza internazionale, mentre è un ritorno sui fotogrammi mancanti in Cruising, il film di William Friedkin che alla sua uscita, nell’80 venne accusato di omofobia, che fanno Travis Matthews – insieme a Joe Balass curatore di un workshop organizzato col Milano Film Network – e James Franco in Interior Leather Bar. non  un’operazione nostalgia-vintage però, ma la messa in opera di un raffinato dispositivo della visione (info sul programma: www.festivalmixmilano.com).
Nella neonata sezione ExtraMix, che propone una selezione di cinema italiano indipendente, troviamo LLL – Look Love Lost di Giovanni Maderna. Non perdetelo perché è un capolavoro di «inattualità», un film intimo con spudoratezza e insieme una presa di posizione nel confronto tra le immagini e la realtà. Come filmare secondo un regista che ha esordito giovanissimo (Questo è il giardino) con produzioni più tradizionali, spostandosi poi verso una forma «corsara» – sua l’ideazione del progetto salgariano coi «Film Corsari» diretto dallo stesso Maderna, e Mauro Santini, Tonino De Bernardi, Giovanni Cioni – che cerca il flusso inarrestabile dell’accadere, la magia di un istante, uno sguardo fuggevole, malinconia e dolcezza, abbandono e amore.
La vita che si fa cinema. E diviene lavoro e ricerca sulla luce, sul tempo, sulla messinscena, sullo sguardo nell’era della retorica del digitale e del narcisismo familiare della rete e dei social netowork. Un «fuori-norma» non programmatico contro le mode, i dettami più o meni «artie», per non parlare di un cinema italiano che si festeggia premiando La migliore offerta di Tornatore ai David ( per fortuna ci sono gli anticorpi di film come L’intervallo di Di Costanzo, opera prima perché siamo in un sistema che non sa guardare fuori da sé stesso).
LLL è un diario intimo, il racconto di viaggi del regista insieme alla sua compagna, Gaia, che sperimenta una poesia del filmare continuamente messa in discussione dagli imprevisti e dalle epifanie che ne spiazzano le traiettorie. Londra, una passeggiata nel parco, un musicista di strada. Una giornata al mare, la giovane donna con un bambino.Un pomeriggio in campagna, parole sussurrate, frammenti di conversazioni.
Lei è davanti ai nostri occhi, lui non lo vediamo mai ma è presente fino all’ossessione nella lotta col suo soggetto che si sottrae alla macchina da presa, si ribella a volte, e a volte sembra disponibile al compromesso. Che rifiuta di essere attrice e insieme è costretta dal pedinamento a una presenza continua nell’inquadratura.
Una storia d’amore. Che nel flusso impalpabile dei sentimenti interroga il gesto del filmare attraverso il disagio del suo soggetto. Ma non è questa la resistenza della realtà, e il terreno, o forse il confine (lo avevamo già visto nel precedente film di Maderna Cielo senza terra, diretto insieme a Sara Pozzoli, nel confronto tra lui e il figlio Eugenio) su cui si misura il senso delle immagini?  LLL è perciò un gesto d’amore ma anche di politica, la dichiarazione di un cinema libero che sperimenta se stesso, che è dentro al sentimento contemporaneo per la sua «inattualità». E commuove e sorprende, con pudore e con irriverenza.