La fiction tv riscopre il genere d’autore con un numero sempre maggiore di registi che affrontano il piccolo schermo spesso rivisitando il proprio cinema. Guillermo Del Toro ha adattato le proprie graphic novel in The Strain, David Lynch prepara la nuova incarnazione di Twin Peaks e i Wachowsky lavorano alla seconda stagione di Sense8, l’epica fanta-new age per Netflix. Robert Rodriguez ha addirittura lanciato un intero network, El Rey, su cui passa la serializzazione di Dusk Till Dawn (Dal tramonto all’alba). Ora arriva anche Sam Raimi che per Starz traghetta sul cavo il suo cult La casa. Ash vs. The Evil Dead che debutterà a fine ottobre (sera di Halloween, ovviamente) riprende il filo della storia trent’anni dopo con i demoni che tornano a perseguitare Ash.
Il protagonista molto coatto guida sempre la fedele Oldsmobile del ’73 ed ha ancora la protesi a motosega – e in più ora dentiera e corsetto per dissimulare i chili sopraggiunti. Una mezz’ora squisitamente grandguignol e molto grindhouse che in quest’era di segmentazione specialistica mira allo zoccolo duro dei fan de La casa e ai loro figli. A San Diego abbiamo incontrato Raimi e suo fratello e co-sceneggiatore Ivan.

Come è stata questa riunione con una delle sue prime creature?
(Sam Raimi) È rimasta tale e quale, in particolare Ash, non è maturato neanche un po’, è rimasto il buzzurro di sempre. Non è decisamente progredito in quanto uomo o imparato nulla di particolare. Direi che il suo sviluppo si è arrestato e lui ha semplicemente continuato ad esistere sperando di non dover mai più affrontare demoni. Malauguratamente per lui all’inizio della nostra serie torna accidentalmente a risvegliarli. Quanto a me è stato un gioco da ragazzi riprendere in mano questa storia perché lavoro con Rob Tapert, il nostro produttore di allora, mio fratello Ivan con cui scrivo tutti i miei film e Bruce Campbell con cui siamo amici dai tempi del liceo.
(Ivan Raimi) È come lavorare con un gruppo di amici e un personaggio a cui vogliamo bene malgrado sia rimasto emotivamente bloccato e si ritrovi un po’ appesantito dagli anni a fare i conti con un’altra spiacevole situazione.

Da dove venne l’idea originale?
(S.R.) Semplicemente il desiderio di fare un horror. Fino ad allora avevamo girato solo commedie. Bob (Tapert, ndr) continuava ad insistere che avremmo dovuto fare un film dell’orrore, che era l’unico modo per sfondare davvero. Ci serviva un protagonista e Bruce era l’unico attore che conoscevamo, tutto è accaduto un po’ per caso. Non avevo un’idea molto chiara per Ash ed è stato Bruce a creare quel personaggio sull’arco dei tre film.

E ora la serie tv…
(S.R.) Sinceramente pensavamo di aver chiuso con La casa dopo il terzo episodio, che abbiamo scritto con Ivan, L’armata delle tenebre, ma i fan volevano ancora Casa. Così abbiamo prodotto il remake di Fede Alvarez (del 2013) e credevamo che li avrebbe soddisfatti. Il film è andato bene, ma la gente voleva vedere di nuovo Bruce Campbell, voleva Ash. E alla fine ci è venuto in mente che invece di un altro film avremmo potuto fare una serie televisiva.

Perché la tv nel frattempo è cambiata abbastanza?
(S.R.) Sicuramente oggi si vedono programmi di ogni genere, storie anche estreme rispetto a quelle che si potevano fare una volta. La casa ovviamente è sempre stata molto «gore» e il cavo oggi ti permette di farlo in tv per la prima volta. E in più ti permette di esplorare più a fondo i personaggi.
(I.R.) Ci siamo chiesti: «Cosa diavolo starebbe facendo oggi Ash?». Beh, è un tizio di mezza età che si è cacciato in un altro pasticcio, e il format tv permette di elaborarlo un po’ più a fondo; non è più lui da solo in una casa ma si muove in luoghi diversi, deve interagire con altre persone, e questo non è proprio il suo forte. In realtà è abbastanza seccato e riprende solo controvoglia la vecchia battaglia.

È stato più difficile lavorare sulla serie che sul film?
(S.R.) No quel film è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Per la prima Casa è stato incredibilmente difficile da girare, non avevamo un dollaro e ci siamo morti di freddo. Lo abbiamo girato in gran parte da soli e Bruce si faceva il trucco da sé. Io facevo l’operatore di macchina e cambiavo i caricatori ed è stato molto, molto impegnativo.

Sei cambiato come regista da allora?
(S.R.) È quasi come se all’epoca avessi cominciato a disegnare figurine con le matite colorate e negli anni ho imparato il mestiere, dai miei attori e da altri registi, ho imparato a girare da direttori della fotografia, e poi tutte le ore passate nelle «writing room» con gli sceneggiatori mi hanno insegnato come si racconta una storia. La cosa buffa è che mi sembra di essere cresciuto come regista, ma i miei più grandi fan vogliono solo che mi rimetta a fare quei disegnini colorati, del resto non gliene importa niente, e così ho deciso di farlo.

Che effetto fa contribuire alla cosiddetta «golden age» delle tv?
(S.R.) Non so se sia una età aurea, il nostro progetto ha semmai più in comune con i cinema drive-in, è un b-movie serializzato, come quelli di una volta, è che ora la tv via cavo ci permette di tornare a farli…
(I.R.) Più che oro con La casa tutt’al più potrà essere un’età di latta…

Ma voi personalmente siete fan? Seguite la tv?
(S.R.) Devo dire di sì. Amo Breaking Bad anche se non sono mai riuscito ad arrivare fino in fondo. I programmi oggi sono migliori di sempre.