La narrativa contemporanea ambientata anche soltanto pochi anni prima dell’avvento del web 2.0, negli anni ottanta e novanta del Novecento, rischia di usufruire a posteriori – soprattutto se la trama è imperniata su alcune caratteristiche del «vecchio mondo» (una maggiore lentezza e difficoltà delle ricerche scolastiche e accademiche, per esempio) – di una curiosa allure, che si direbbe guardare al romanzo storico: l’effetto è già stato sfruttato dagli algoritmi dei produttori di contenuti in streaming per accattivarsi quella parte di pubblico che si ritiene più sensibile alle nostalgie dell’«interregno» tecnologico. Nata nel 1983, la scrittrice americana Liz Moore appartiene – nell’espressione da gergo bellico propria del marketing – a quel «target». Un indizio possibile per addentrarsi in una più approfondita lettura del suo terzo romanzo, Il mondo invisibile (tradotto da Ada Arduini, NN editore, pp. 432, € 19,00), che si confronta con alcune questioni prefigurate da quei decenni e che oggi è di moda presumere essenziali: l’introduzione nell’industria, nel terziario, nelle scienze sociali e politiche dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi decisionali, il mutamento drammatico nei rapporti personali dovuti alle nuove strategie di interazione.

Moore tiene questo nucleo conflittuale del romanzo sotto traccia: Il mondo invisibile è soprattutto la storia del rapporto tra un padre e una figlia dei quali il narratore, quasi sempre in terza persona, adotta via via il punto di vista con non comune eleganza, grazie a una scrittura limpida (e ben resa in italiano).
David è uno scienziato e un accademico di Boston, Ada ha dodici anni e la sua vita si dà esclusivamente in funzione del padre, fino a quando un tragico imprevisto toglie a David la possibilità di continuare a badare a sua figlia.

Da qui i salti temporali nel passato e nel futuro dei due personaggi, che spesso mettono Ada di fronte alle trasformazioni del mondo della tecnologia – settore nel quale si impiegherà da adulta e soprattutto campo di specializzazione del padre, la cui malattia incipiente, l’Alzheimer, suggerisce una qualche rifrazione allegorica –per contrasto – con lo sviluppo del machine learning al quale l’uomo si interessava. Prima di scivolare nell’oblio, David ha consegnato a Ada un codice da decrittare, una stringa misteriosa che la ragazza impiegherà decenni a «aprire». Scoprirà, appunto, un «mondo invisibile» che riguarda soprattutto il passato di suo padre.

Pur tenendo un buon ritmo anche grazie alla sua componente thrilling, Il mondo invisibile è appesantito dall’indugiare su passaggi fin troppo statici – talvolta anche banali – della vita di Ada e di David. Passaggi che si ricongiungono, tuttavia, in un epilogo sorprendente, capace di colorare retrospettivamente l’intero romanzo, donandogli una nuova patina «sperimentale» e invitando a ricapitolarne le parti, a cominciare dalla prima lunga sequenza casalinga che apre la narrazione.