Strisciando, camminando, saltando e correndo attraverso una notte che non si estingue mai, dove la rara luce è solo artificiale e ferisce, strazia non solo gli occhi ma ciò che c’è dietro, annichilendolo. Non siamo soli, tuttavia, in tanto grigio-nero squallore ci accompagna una bambina già conosciuta e impersonata chiamata Six, con il suo impermeabile giallo da vittima di Pennywise; talvolta ella ci aiuta, altre aiutiamo lei, tendendole una mano sull’abisso come già facemmo con la lucente Yorda nelle vuote vastità alla De Chirico di Ico. Poi ci sono innumerevoli ossessive presenze ostili, parodie di paure mai sopite che mantengono, malgrado l’aspetto così grottesco, tutta la loro forza terrificante.

Fa male giocare a Little Nightmares II, seguito per PC e console di Sony, Microsoft e Nintendo, del piccolo incubo ludico di Tarsier Studios laddove i brutti sogni non sono assolutamente piccoli perché sono solo piccoli quelli che li sognano, perché le paure dei bambini sono le più oscure, travolgenti e profonde, spesso insormontabili. Fa male giocarlo, da adulti, proprio perché ci riporta indietro in una zona oscura e irrisolta, ponendoci di fronte a timori rimossi, facendoci riflettere sulle angosce dei bambini dall’infanzia rimossa ai tempi della pandemia, mentre ci interroghiamo se nel nostro maturo terrore di morire, di perdere il lavoro, di ammalarci, i più piccoli non stiano perdendo qualcosa di fondamentale, chiudendosi in una disperazione inascoltata.
Fa male giocare a Little Nightmares II perché come tutte le grandi opere dell’orrore racconta altro, non si limita a spaventare alimentando una paura che si scioglie masticando pop-corn, ma una angoscia che ci accompagna oltre il gioco, negando il sonno con amari e dolorosi pensieri. Pensieri proficui ciononostante, meditazioni gravi e utili per affrontare l’oggi virale degli infanti dimenticati davanti a un PC o in classe senza potersi abbracciare, con il sorriso amareggiato e incolto nascosto dalle mascherine, oppure questo videogioco così cupo e illuminante ci porta indietro, nella nostra psiche, avviluppandosi a traumi sepolti dal tempo.

Insomma malgrado tutte le difficoltà psicologiche che possono sorgere esperendo Little Nightmares II, nonostante l’implacabile durezza di alcune sue risposte, si tratta comunque di un videogame horror e avventuroso imprescindibile per il suo valore artistico, la sua estetica semi-bidimensionale, le sue soluzioni ludiche.

Se nel primo episodio del quale questo, forse, è un preludio invece di un seguito, controllavamo la giallo-vestita Six, qui muoviamo invece un atro personaggio: Mono, bimbo incappucciato con un sacchetto di carta che si risveglia o si addormenta in un bosco nero, subito braccato da un cacciatore psicopatico. Così fuggiamo e ci nascondiamo da quella folle presenza assassina fino a giungere alla periferia di una metropoli desolata, ricettacolo tetro di altri incubi.

In compagnia di Six, senza alcuna parola, solchiamo la soglia di una scuola. Ci sono ancora dei piccoli studenti stralunati, ridotti a fragili ma pericolose bambole di ceramica, raramente li possiamo persino combattere ma è difficile e faticoso. C’è, tra questi corridoi e aule cimiteriali, una spaventosa maestra. Ella tortura e perseguita i suoi studenti durante innominabili lezioni, li segue ovunque, allungando un infinito collo serpentiforme.
Dopo la scuola arriviamo in un ospedale, il luogo più spaventoso del gioco, abitato da orde di infermieri-manichini che solo la luce di una torcia può fermare mentre tentano di farci a pezzi. Qui c’è anche un mostruoso chirurgo che ci perseguita, malgrado il suo corpo obeso di disgustose escrescenze tumorali, scorrendo veloce e agile sui muri e i soffitti.

Poi andremo oltre, sempre più addentro a questa spaventosa città di marionette inerti, raggelate da schermi televisivi che annientano la ragione, dai quali occhieggia il lucore di un male definitivo che infine conosceremo troppo da vicino.

Per alimentare il suo valore agghiacciante, non è masochismo ma volontà di immersione, conviene giocare Little Nightmares II con gli auricolari, perché c’è uno straordinario comparto sonoro di pazzi balbettii, mormorii disperati, singulti e rumori che si fonde con la non troppo frequente e invasiva colonna sonora, deprimente e sconsolata come certi adagi di Šostakóvič.

Non è facile, e qui risiede l’arte di Tarsier Studios, rendere appassionante e persino «divertente» da giocare un’opera così grave, introspettiva e dolente, terapeutica e disturbante. Durante le circa dieci ore necessarie per finire il gioco non c’è sentore di noia, tutto risulta necessario per costruire questo maniero emozionale, ci sono contemplazione e azione, enigma e riflessione.

Galleria macabra, senza nessun lucore di speranza, Little Nightmares II è un intimo viaggio nei piccoli inferni obliati di infanzie strappate, dove gli adulti sono mostri egoisti, crudeli e senza empatia, che guardano oltre tutto ciò che è piccolo, trasformando in mostri, nei mostri peggiori, anche ciò che prima era buono e innocente.
Nel suo eterno ritorno di ogni disperazione, l’opera di Tarsier Studios è un piccolo ma enorme videogioco, la cui longevità ludica trascende il suo tempo di gioco, espandendosi con i suoi contenuti e i suoi messaggi, che perdurano senza estinguersi negli ingranaggi dell’hardware quando lo si spegne. Affascinante e perturbante da guardare come le invenzioni visionarie di HR Giger, libro di fiabe nere disegnato da un pittore misantropo, depresso e dal genio ignorato, Little Nightmares II, malgrado la piccolezza esplicitata dal suo titolo, tratta di temi universali, sgradevoli perché per tanti oggi sono insignificanti. È più comodo fermarsi sulla superficie degli occhi di un bambino, ingolfati nelle nostre adulte tempeste quotidiane, o dare la colpa a internet e ai videogiochi se su quelle iridi cogliamo rabbia, dolore e disagi invece che scendere nel profondo e trovarvi una ragione che può atterrire pure noi che ci diciamo «grandi» ma preferiamo non capire.