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Little Feat e le rapsodie: il lato colto e magico del southern rock

Little Feat e le rapsodie: il lato colto e magico del southern rockLittle Feat

Musica Ristampa con una edizione deluxe in 8 cd, per lo storico album dal vivo «Waiting For Columbus»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 25 novembre 2022

Formati da musicisti del giro di Frank Zappa e dei Fraternity Of Man, i Little Feat, guidati dal carismatico cantante, compositore e chitarrista Lowell George, creano una forma particolare di rock sudista, ispirandosi ai Rolling Stones da Let It Bleed a Exile On Main Street: un country-blues-rock sincopato, con il batterista Richard Hayward abilissimo a creare qua e là un senso di sospensione. Le canzoni si trascinano in situazioni inusuali, ballate a volte quasi barcollanti, tinte dall’humor post-psichedelico di George. I primi due album, l’ancora timido Little Feat (1971) e il finalmente maturo Sailin’ Shoes, pur annoverando l’omonima, splendida canzone (scritta con Van Dyke Parks) e Willin’, la ballata più celebrata di George, non vanno molto oltre le diecimila copie vendute.

COSÌ IL LEADER prende in mano la situazione e decide di produrre quello che forse è il picco insuperato della band: Dixie Chicken (’73). Grazie anche al suonatore di congas Sam Clayton, pur trattandosi di un disco dalle melodie più facili, è estremamente sofisticato. Nonostante ciò, non vende che poco più del precedente. Riuscirà a entrare nelle zone medio-alte delle chart il successivo Feats Don’t Fail Me Now: più collettivo, commerciale, ballabile, ma dove i musicisti non sprecano un’oncia del loro talento, tanto risulta comunque perfetto.

E’ o stesso George a lanciare l’idea di un doppio live che rivela la capacità del gruppo di cambiare e allungare le loro canzoni come gli amici Grateful Dead.

Mentre il seguente The Last Record Album (’75) chiude un po’ confusamente il primo capitolo della band, Times Loves A Hero vede il distanziamento volontario di George dal gruppo, forse anche per il sempre più grave abuso di cocaina e altre droghe. Ne hanno approfittato il tastierista Bill Payne e il chitarrista Paul Barrere per prendere in mano le redini della band, virando verso una jazz-fusion di classe (i cui germi si potevano udire già in Feats Don’t Fail Me Now) che però non c’entra molto con i Feat originari e divide i fan.

È TUTTAVIA lo stesso George a lanciare l’idea di un doppio live. Uscito nel ’78, ma registrato in varie date l’anno precedente, Waiting For Columbus rivela la capacità dei Little Feat di cambiare e allungare le loro canzoni come gli amici Grateful Dead. Con il successo ottenuto (anche presso la critica che lo annovera tra i migliori dischi live di sempre), lo status dell’ensemble si innalza notevolmente. Intanto George, che ha fatto uscire un album tutto suo, scioglie i Little Feat e va in tour con un nuovo gruppo, ma, sovrappeso e in stato di costante abuso di cocaina, è colto in Virginia da un infarto fatale.
Il postumo Down On The Farm (’79), poco coeso e dall’ispirazione altalenante, chiude il periodo classico dei Little Feat.
La Warner ha licenziato una deluxe edition di Waiting For Columbus, in 8 cd comprendente il live originale e 3 concerti analoghi e coevi, dalla resa eccellente, distribuiti in 6 dischetti.

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