Homo viator è espressione che indica la dimensione peregrinante dell’umanità. Può essere un percorso interiore, ma spesso e prima di tutto è un percorso fisico. Bruce Chatwin reputava che l’itineranza, la vita nomade fossero la condizione primigenia degli esseri umani, nonché un richiamo ancora forte per gli stanziali. Homo viator. Il pellegrinaggio medievale si intitola una bella sintesi di Franco Cardini e Luigi Russo (La Vela, pp. 280, euro 16).

NEL MEDIOEVO, come in altre epoche d’altronde, si viaggiava per mille ragioni: però il pellegrino era visto come il viaggiatore per eccellenza, in quanto metafora incarnata della condizione umana. Si viaggia nel mondo come nella vita; in un certo senso Chatwin non è lontano. Perché ci si metteva in cammino? «Il desiderio di informazione, l’interesse storico, la curiosità geografica, la tradizione odeporica greca e latina, quella voglia di vedere fine a se stessa che molti testi già classici denunziano costituiscono (…) altrettanti moventi del pellegrinaggio, insieme certo con il desiderio di visitare luoghi privilegiati della grazia divina, di farvi penitenza, di riportarvi memorie e reliquie (…). Siamo in questo senso e in queste dimensioni ancora nell’ambito del Wallfahrt, il pellegrinaggio compiuto sulla base di un espresso programma di rientro in patria; non della Pilgerschaft, pellegrinaggio senza prospettiva di ritorno, concepito come fase conclusiva di un’esperienza esistenziale, che può essere considerato una forma di conversione e che – data la sua meta gerosolimitana – è provvisto per giunta di una forte e ben connotata dimensione escatologica».

Così scrivono gli autori a proposito dei primi pellegrinaggi, quelli che ereditavano la tradizione antica; non mancarono poi coloro che invece si mettevano in viaggio con l’idea di concludere la propria esistenza a Gerusalemme, dove il cristianesimo era nato, o che univano più profanamente il pellegrinaggio a una sorta di primo «turismo», con le reliquie a fare da souvenir, e con le descrizioni (ci sono arrivati numerosi e interessanti diari) dei costumi e delle tradizioni delle terre che si visitavano.

OLTRE AL PELLEGRINAGGIO oltremare, si viaggiava però anche in Europa. La via francigena, il cammino di Santiago e tanti altri percorsi minori erano conosciuti e praticati largamente. Non si viaggiava soltanto come pellegrini, però. L’avventura cavalleresca era una ragione per muoversi dai luoghi d’origine: a volte nei territori circostanti, ma sovente per spingersi più lontano. La stessa crociata nasce come pellegrinaggio di milites armati a difesa dei pellegrini inermi lungo il cammino di Santiago: e il cosiddetto «voto di crociata» altro non era che un voto di pellegrinaggio. Erano soprattutto i giovani cavalieri a spingersi sulle strade d’Europa e oltre in cerca di fortuna e di avventura. Alla loro mentalità, così come traspare dalla letteratura cavalleresca, dedica uno studio approfondito Mauro Azzolini: Una gioiosa baldanza. Immagini, modelli e lessico della giovinezza guerriera nelle letterature galloromanze dei secoli XI-XIII (Edizioni dell’Orso, pp. 358, euro 24).

Attraverso la letteratura è possibile leggere anche la storia di una società, o comunque di una sua compagine importante. Come scrive nella postfazione Alvaro Barbieri: «Nel sistema valoriale dei guerrieri professionali di ogni epoca e paese, e in specie tra quelli organizzati in ‘società di uomini’, s’incontra un filo rosso che stringe assieme, nel segno di una dominante euforica, l’irrequietezza giovanile, il nomadismo avventuroso e il piacere delle armi».

ATTRAVERSO questo nomadismo di guerrieri circolavano anche storie e motivi che, orali in partenza, trovavano poi una codificazione letteraria. È interessante notare come spesso, a fare da sfondo alle avventure, vi siano regioni lontane dagli autori. Così è per il Floriant e Florete, del quale è stata da poco pubblicata l’edizione critica con traduzione italiana a cura di Mariateresa Prota (Edizioni dell’Orso, pp. 502, euro 35): romanzo francese del XIII secolo narra di amori e avventure, ed è ambientato in Sicilia tra Palermo, Messina, il Mongibello e così via. La dimensione del viaggio fra pellegrinaggio e avventura cavalleresca, fra sfondi realistici e immaginari, ha unito per secoli l’Europa.