La crescita del Pil nel 2014 sarà più bassa di quella annunciata dal governo (0,7% contro l’1,1%). Quanto al 2013, la recessione sarà ancora più grave del previsto: -1,8% contro il 1,7% stabilito nel Documento di Economia e Finanza (Def). La ripresa evocata come la pioggia in un deserto dunque ci sarà, ma sarà microscopica, non basterà a compensare il calo della produzione che si sta pericolosamente avvicinando al 2% (-2,4% nel 2012). Sono i dati principali comunicati ieri mattina, poco dopo le nove, dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) sulle prospettive per l’economia italiana nel 2013-2014. Al momento si continua a prevedere una crescita, già registrabile nell’ultimo trimestre del 2013, ma tale crescita non produrrà nuova occupazione. Anzi, la disoccupazione continuerà ad aumentare, passando dall’attuale 12,1% al 12,4%. Questo è il punto. La previsione, già nota e annunciata da tutti gli osservatori internazionali che parlano di una Jobless Recovery – cioè di una crescita senza occupazione – ha provocato un terremoto dalle parti del governo, impegnato ad esorcizzare la realtà della recessione e delle politiche dell’austerità con pratiche di auto-ipnosi..

Il peggioramento delle aspettative sul Pil e sull’occupazione è avvenuto nel passaggio dalla primavera all’autunno. Già a maggio l’Istat aveva diffuso dati non proprio coincidenti con quelli del governo nel Def di aprile. Quest’ultimo aveva abbassato le previsioni nell’aggiornamento di settembre del Def e aveva compiuto con Saccomanni ad un esercizio di realtà. Ad aprile aveva previsto un Pil a -1,3%, a settembre il governo lo ha abbassato a -1,7%. Quanto alla tanto auspicata crescita, siamo passati da una previsione del +1,3% ad una più modesta dell’1%. Quanto alla disoccupazione, ci sarebbe da scrivere un romanzo. Ad aprile il governo l’aveva fissata per il 2013 a -11,6%, a settembre ha tarato il bilancino sul 12,2%. Per il 2014 c’è consonanza con l’Istat: sarà al 12,4%.
Può sembrare superflua questa insistenza sulle percentuali e sull’incapacità di prevedere l’andamento del Pil e della disoccupazione. Ma non è inutile, anche perché la legge di Stabilità che si discuterà fino a Natale dovrà tenere conto di questi valori per poi determinare l’impatto economico delle misure in discussione. Una variazione, anche minima, del Pil non ha solo conseguenze sui consumi (dal 2008 le famiglie hanno tagliato 45 miliardi di euro di spese ha sostenuto ieri la Confederazione italiana agricoltori), ma comporta la spostamento di miliardi nel bilancio.

Dopo la lettura dei dati dell’Istat, dev’essere stato brusco il risveglio del governo dal sonnambulismo nel quale si trascina. Dopo qualche ora ha provato a formulare varie interpretazioni ai dati, mettendo in campo i pesi massimi. Prima è intervenuto il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni che ha sottolineato di avere «opinioni leggermente diverse» da quelle dell’Istat. La differenza sarebbe dovuta «alle attività del processo di riforma strutturale», cioè alla spending review, e «alle misure sui rimborsi del debito della pubblica amministrazione», Sui 20 miliardi di euro stanziati nell’aprile scorso, al 18 settembre scorso sarebbero stati smaltiti 17,9, di questi 11,3 sarebbero nelle casse dei creditori dello Stato, cioè il 63%.

Poi si è fatto sentire il ministro del lavoro Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat, che ha preso le previsioni come «uno stimolo per fare ancora di più, la legge di stabilità deve incoraggiare l’economia». Una tesi che ragiona principalmente sulla «fiducia». «Se l’economia cresce – ha aggiunto Giovannini – noi stimiamo che su tre milioni di disoccupati e altrettanto di scoraggiati una parte si metteranno a cercare lavoro». Il punto non è «se» l’economia cresce, quanto la previsione di una riduzione della crescita nel 2014 e il peggioramento della recessione quest’anno. Più che solo uno stimolo a far meglio, quella dell’Istat sembra la constatazione dei danni della recessione, del suo impatto sull’occupazione e dell’efficacia delle misure intraprese contro la disoccupazione.

Un ritorno alla dura realtà dell’austerità l’ha predicato ieri il presidente della Repubblica Napolitano secondo il quale «la coperta resterà corta anche se riusciremo con grande sforzo collettivo a riaprirci un sentiero della crescita» Uno sforzo che non sarà indolore, anche perché lascerà sul campo molte vittime.