L’Italicum non si tocca: questo ha detto forte e chiaro Matteo Renzi nella conferenza stampa di fine anno, annunciando così di aver risolto un dubbio che lo animava da mesi, con una scelta già quasi definitiva dopo le elezioni spagnole. Sarà una pietanza amara nel cenone di moltissimi politici, non solo di opposizione ma anche nella minoranza del Pd. In una revisione della legge elettorale ci avevano sperato in molti. È probabile che nonostante le parole di Renzi ci sperino ancora, ormai però contro ogni evidenza. Nel momento stesso in cui ha ricordato a Berlusconi di essere rimasto paralizzato per vent’anni nonostante fosse il dominus della politica italiana proprio perché impastoiato dalle coalizioni, Renzi ha mosso un passo che non prevede retromarcia.

L’eventualità di modificare la nuova legge elettorale a palazzo Chigi è stata presa in considerazione seriamente dopo l’estate. Il punto debole dell’Italicum con il premio assegnato alla lista, dal punto di vista di Renzi, è in effetti vistoso. Con due forze d’opposizione diverse, per molti versi inconciliabili ma con elementi in comune come il Movimento 5 Stelle e la destra a trazione leghista, il rischio che al ballottaggio i voti convergano su quella delle due forze che sarà arrivata alla sfida finale è fortissimo. Lo è tanto più nell’eventualità assai probabile che quella forza sia l’M5S.
In caso contrario, infatti, l’eredità di un antiberlusconismo che ormai sopravvive al berlusconismo stesso potrebbe ancora frenare gli elettori a cinque stelle, mentre è più difficile che la base leghista o meloniana (nel senso della destra radicale dei Fratelli d’Italia) sfugga alla tentazione di affibbiare comunque un colpo micidiale a Renzi, visto non come il capo del Pd ma come il leader della politica tradizionale.

In parte, a convincere Renzi è stato l’esito per lui trionfale della lunghissima guerra di posizione sul fronte della Corte costituzionale. Un esito diverso di quel conflitto avrebbe infatti esposto l’Italicum al forte rischio di essere dichiarato incostituzionale, dal momento che non sana nessuno dei limiti evidenziati dalla Corte nella bocciatura del Porcellum. Per ingenuità o per calcolo, cioè perché convinti che l’Italicum torni anche a loro vantaggio, i pentastellati hanno consegnato la Consulta a Renzi, come ammetteva la sera stessa dell’elezione, in privato, Luca Lotti, tripudiando: «Ci hanno regalato la Corte. Li abbiamo fregati di nuovo». Da quel punto di vista, la legge elettorale di Renzi è ormai blindata.

Ma soprattutto quel che spinge Renzi a difendere l’Italicum, nonostante i rischi che comporta e che in molti gli hanno pur segnalato, è il fatto che combacia perfettamente con il suo progetto. Matteo Renzi ha una sua idea precisa di come dovrebbe funzionare la democrazia italiana: un modello fondato da un lato sul commissariamento, cioè su un presidente del consiglio i cui poteri sono quelli di un super commissario agli affari nazionali ed esteri, e dall’altro su un rapporto plebiscitario con l’elettorato, se possibile persino più marcato di quel che intratteneva Berlusconi con il suo popolo votante. Al commissario non si chiede conto di ciò che fa , spulciando le sue scelte riforma per riforma. O ci si fida oppure lo si licenzia.

Nella medesima conferenza stampa Renzi ha avvertito che questo farà quando si voterà nel referendum sulla riforma costituzionale. Inutile sprecare tempo e meningi nel chiedersi se il modello funziona o no, se quella democrazia decurtata piace o no. O con me o contro di me: il voto di fiducia, diventato norma in Parlamento e contro il Parlamento allargato dalla platea dei rappresentanti a quella dei rappresentati. «Il tentativo – commentava ieri Loredana De Petris – è quello di nascondere il merito delle scelte per impedire che vengano analizzate lucidamente».
Ma proprio perché questa è e resterà la rotta Renzi avrà bisogno di non arrivare al plebiscito con la sua stella appannata da una batosta alle elezioni comunali.