ROMA
Approvato e modificato un altro articolo, il 14 del disegno di legge di revisione costituzionale all’esame della camera, ma è solo il quinto su quaranta. Ed è uno di quelli «facili», gli unici sui quali la maggioranza e il governo se la sono sentita fin qui di far lavorare i senatori della prima commissione. Nella sostanza si gira attorno ai problemi, si aspetta l’accordo a tre governo-Forza Italia-minoranza Pd che ancora non c’è. Si va di vertice in vertice, quello di mercoledì è finito tardi, quello di ieri si è interrotto per consentire alla ministra Boschi di partecipare a un ricordo di Nilde Iotti – «il suo lascito prezioso è alla nostra portata» – quello di oggi è di buon mattino. E viene presentato come «decisivo».

Composizione del nuovo senato, procedimento legislativo, elezione del presidente della Repubblica: gli aspetti centrali della riforma sono in alto mare. Il governo ripete da settimane che è disponibile a modifiche «ma senza cambiare l’impianto della riforma», frase da intendere nel senso «senza spezzare l’asse del Nazareno». È per accontentare Berlusconi che la riforma non si è ispirata al modello tedesco – dove il senato è rappresentativo degli esecutivi regionali e i rappresentati di uno stesso Land votano allo stesso modo – gonfiando la camera alta di sindaci e consiglieri regionali. Berlusconi, che è in netta minoranza nelle giunte regionali, non accetterà passi indietro.

Un punto la minoranza del Pd lo ha segnato ieri, facendo approvare un suo emendamento all’articolo 14. Era previsto: la modifica è in pratica la correzione di un evidente errore e cancella la bizzarra previsione della promulgazione «parziale» di una legge. Il presidente della Repubblica potrà così firmare per intero il testo che gli arriva dal parlamento o respingerlo per intero, come avviene oggi, salvo il caso (novità) delle leggi di conversione di un decreto che possono contenere provvedimenti urgenti da «salvare» anche all’interno di un testo che il presidente intende rinviare al parlamento. Se arriverà l’accordo per sbloccare i lavori, la commissione comincerà a votare oggi pomeriggio. Intanto mantiene l’obiettivo di portare la riforma in aula il 16 dicembre.

In ritardo, rispetto al serratissimo calendario proposto da Renzi, è anche la legge elettorale al senato. Per la verità la sessione di bilancio (è cominciato l’esame della legge di stabilità) dovrebbe a rigore di regolamento bloccare gli altri lavori. Ma in questo caso la commissione bilancio ha accordato agli affari costituzionali una deroga. Solo che ci sono volute quattro ore di dibattito per approvarla, a maggioranza, e così il passaggio più delicato della legge elettorale è stato rinviato a martedì. Si tratta della votazione sull’ordine del giorno Calderoli, che dovrebbe impegnare il governo e la maggioranza a modificare la legge in maniera tale che non entri in vigore fino a quando non sarà stata approvata la riforma costituzionale che abolisce il senato elettivo. Del resto l’Italicum è una legge elettorale prevista solo per la camera. Renzi non vuole legarsi le mani in questo modo, sa anche lui che la riforma costituzionale è tutt’altro che in discesa è ha tempi assai lungi (più due anni che uno), e per questo ha proposto il termine del gennaio 2016. L’idea di Calderoli, però, è la stessa che aveva avuto nel primo passaggio alla camera la minoranza Pd. a. fab.