Sarà la prossima la settimana più importante per la nuova legge elettorale e per la revisione costituzionale, le due riforme che il governo intende approvare entro gennaio, ed è la stessa settimana in cui sono attese le dimissioni del presidente della Repubblica. L’Italicum al senato e la riforma del bicameralismo alla camera sono ancora al giro di riscaldamento; sul primo si comincerà a votare probabilmente giovedì. L’emendamento chiave è contrassegnato dal numero 1.500/2, chiede di limitare al 25% la quota di deputati eletti con le liste bloccate – i cosiddetti «nominati» – e di lasciare agli elettori la libertà di scegliere tutti gli altri con le preferenze. È firmato da 34 deputati della minoranza Pd, in teoria sufficienti a mettere in crisi il patto del Nazareno. La maggioranza proverà a blindarsi con le correzioni al testo – che è ancora quello uscito dalla camera – concordate tra Renzi e Berlusconi. Sarà la presidente della prima commissione e non il governo a presentarle.

Intanto la discussione generale racconta di una legge che si pretende di approvare di corsa, pur ammettendo che non è né urgente (il governo propone una clausola per sterilizzarla fino alla fine del 2016) né immune da vizi. Non uno tra i senatori che sfidano il vuoto dell’aula per intervenire si azzarda a difendere l’Italicum per intero, e non solo quelli delle opposizioni ma anche quelli del «patto» Pd-FI-centristi. Forza Italia non apprezza il premio alla lista, i democratici «bersaniani» i capilista bloccati, i centristi la clausola di salvaguardia. È tutto un criticare, preparandosi però ad approvare perché così vuole palazzo Chigi.

La scena cambia poco alla camera, dove però sulla revisione costituzionale il patto del Nazareno può contare su una maggioranza amplissima. Al punto da assorbire senza problemi la diserzione, nei primi voti, di quasi la metà del gruppo di Forza Italia. Tra assenti e voti contrari non solo un noto «dissidente» come il deputato Bianconi, ma anche berlusconiani sperimentati come Biancofiore, Santelli, Santanché, Carfagna e Prestigiacomo si mettono a smontare il «patto», votando per gli emendamenti che sopprimerebbero parti fondamentali della riforma. E così la falange del Nazareno deve stare in guardia, il relatore ultra renziano Fiano si accalora nel respingere l’accusa delle opposizioni che parlano di riforma autoritaria. Poi con il presidente della prima commissione Sisto cerca di evitare le insidie, accantonando un paio di emendamenti pericolosi, come quello che riduce la rappresentanza eletta all’estero o un primo emendamento sulle competenze del senato. Si votano e si respingono in tutto una ventina di emendamenti, sul totale di 1.270 che non è neanche tanto visto che le opposizioni hanno rinunciato all’ostruzionismo. In teoria alla camera poteva riuscire quello che fu impedito al senato dalla tecnica del «canguro», perché il regolamento esclude in questo caso la possibilità di far decadere in blocco gli emendamenti. In pratica la veloce seduta prima di natale che ha incardinato la riforma è servita ad aggirare il divieto di contingentare i tempi per le revisioni costituzionali, e allora in ogni caso la legge dovrà essere approvata entro e non oltre le 80 ore di sedute.

La minoranza Pd, che in commissione era arrivata a una mediazione con i renziani, mantiene qualche emendamento che potrebbe disturbare il cammino della riforma, innanzitutto quello che introduce la possibilità di sottoporre l’Italicum alla verifica preventiva della Corte costituzionale. Qualche altra modifica sarà invece accolta dalla maggioranza, come l’innalzamento del quorum per la dichiarazione dello stato di guerra: da passaggio solenne delle camere in seduta riunita nel testo attuale è diventata la facoltà di un solo partito. All’orizzonte, dopo i quattro passaggi conformi, c’è sempre il referendum. Non necessariamente una «concessione» del premier, almeno da come stanno andando le prime votazioni che non hanno mai visto la maggioranza raggiungere il quorum di sicurezza dei due terzi. Anzi, in qualche caso il patto del Nazareno ha mancato persino la maggioranza assoluta, quella che se vuole arrivare fino in fondo non può proprio mancare.