Il più veloce è stato il tribunale di Messina, dove il ricorso era stato presentato a fine novembre dell’anno scorso. Imputato: l’Italicum, che un gruppo di avvocati – con la stessa strategia che due anni fa ha condotto a morte la vecchia legge elettorale, il Porcellum – sta cercando di far dichiarare incostituzionale dalla Consulta. A Messina hanno deciso ieri, dichiarando «non manifestamente infondati» sei motivi di incostituzionalità su tredici, quanti erano quelli sollevati dall’avvocato Enzo Palumbo in rappresentanza di alcuni cittadini (docenti universitari e tre parlamentari grillini che hanno voluto firmare il ricorso). L’Italicum dunque andrà davanti ai giudici costituzionali ed è assai probabile che altri tribunali seguiranno quello siciliano. A Trieste si aspetta una decisione a giorni, poi Genova, Potenza, Milano: in totale i ricorsi presentati con la regia dell’avvocato Felice Besostri (fu lui con il collega Bozzi a ottenere la vittoria sul Porcellum) sono una ventina. E non sono ancora finiti, visto che cinque tribunali sono stati tenuti «di riserva» e nuovi ricorsi saranno presentati conoscendo adesso le argomentazioni difensive dell’avvocatura dello stato.

Tra i sei motivi per i quali l’Italicum è stato considerato a rischio di incostituzionalità, non c’è quello riferito alla procedura con la quale la legge elettorale è stata approvata, e cioè la questione di fiducia e prima il «super canguro» dell’emendamento Esposito. Tecniche che i giuristi ricorrenti considerano «straordinarie» e dunque non corrispondenti all’articolo 72 della Costituzione secondo il quale per la legge elettorale dev’essere sempre adottata la «procedura normale di approvazione». Il tribunale di Messina – che si è trovato a decidere nei giorni in cui in parlamento infuriava la polemica sui «super canguri», riferiti stavolta alla legge sulle unioni civili – non ha accolto questo motivo di ricorso, considerando la questione non pertinente al giudizio principale sul quale dovrà pronunciarsi. Nel sistema italiano, infatti, non è ammesso un ricorso diretto dei cittadini alla Consulta, per questa ragione – come già contro il Porcellum – gli avvocati si sono rivolti ai giudici civili citando il ministero dell’interno e la presidenza del Consiglio per la lesione del loro diritto al voto «libero, uguale, personale e diretto».

Il vizio procedurale, se accolto dalla Consulta, avrebbe portato allo smantellamento di tutta la legge elettorale. Si vedrà come decideranno gli altri tribunali. Ma intanto le questioni accolte a Messina sono sufficienti a portare davanti alla Corte costituzionale, il cuore dell’Italicum. Innanzitutto l’assenza di una soglia per l’attribuzione del premio di maggioranza in caso di ballottaggio, che (scrive il collegio presieduto dal giudice Giuseppe Minutoli) deve considerarsi «come una nuova votazione tra due sole liste» per vincere la quale basterà una percentuale minima «rispetto al complesso degli aventi diritto al voto». In più i giudici notano che nell’Italicum convivono il premio di maggioranza e lo sbarramento, cioè una doppia distorsione del principio proporzionale. Altri motivi di possibile incostituzionalità accolti riguardano i capilista bloccati che possono presentarsi in dieci collegi diversi, possibile vulnus al diritto di scegliere liberamente i deputati, e la ripartizione nazionale dei voti, in ipotesi una violazione della rappresentatività territoriale dei deputati e del principio del voto diretto. Sono state poi rimesse ai giudici costituzionali due questioni che riguardano il passaggio tra il vecchio sistema elettorale e il nuovo: può essere irragionevole che l’Italicum si applichi solo alla camera, visto che il senato elettivo ancora non è stato abolito (succederà, eventualmente, dopo il referendum costituzionale) e intanto possono essere irragionevoli le soglie di sbarramento ancora previste nella vecchia legge elettorale per il senato, diverse dalla soglia introdotta per la camera.

Per effetto della clausola «di salvaguardia» ottenuta da Berlusconi ai tempi del «patto del Nazareno», l’Italicum sarà applicabile solo dal prossimo luglio. Ma è assai difficile che la Consulta possa esprimersi prima. Eletto appena ieri presidente, il giudice costituzionale Paolo Grossi ha previsto «un tempo ragionevolmente breve per avere qualcosa di definito». Nel 2013 ci vollero sette mesi dall’ordinanza della Cassazione sul Porcellum all’udienza della Consulta. Che potrebbe anche non ammettere per nulla le questioni sollevate dal tribunale, per quanto il collegio di Messina le abbia assai ben argomentate, citando numerosi passaggi della sentenza costituzionale contro il Porcellum. Il collegio dei giudici, però, nel frattempo è cambiato per sei quindicesimi. E prima che la Consulta si esprima, partirà in primavera la raccolta di firma per due referendum abrogativi dell’Italicum. «Questa volta – nota Domenico Gallo, del coordinamento che li ha proposti – il giudizio della Corte può intervenire prima che si svolgono le elezioni, scongiurando il pericolo che possa essere eletto di nuovo un parlamento con una legge elettorale incostituzionale». Sarebbe il quarto.