Che immagine ebbe (e costruì) l’Italia fascista dell’America Latina? Che posto occupò nella sua politica estera e che strategie pose in atto di fronte alle comunità di italiani emigrati nel sub continente americano? Sono questi gli interrogativi da cui muove la ricerca di Valerio Giannattasio (Il fascismo alla ricerca del Nuovo Mondo. L’America Latina nella pubblicistica italiana, 1922-1943, ombre corte, pp. 233, euro 22), che a essi cerca di dare risposta attraverso l’esame della letteratura di viaggio, degli articoli comparsi sulle riviste del regime o su quelle sorte ad hoc come Colombo, senza trascurare il mensile del Touring Club Le vie dell’Italia e dell’America Latina pubblicato dal 1924.

NEL PRIMO CAPITOLO l’autore esamina l’immagine del subcontinente, con le sue articolazioni geo-etniche, sociali ed economiche, fornita dalla pubblicistica, particolarmente sensibile al tema delle possibili relazioni commerciali. Oggetto del secondo sono i rapporti che il regime tentò di stabilire con gli emigrati italiani, che nel suo lessico da «emigrati» divennero «italiani all’estero» (oltre 14 milioni dal 1850 al 1930 nei vari paesi dell’America Latina), al fine di espandere l’influenza economica e culturale dell’Italia, nel solco dei propositi già espressi da Crispi, poi dal movimento nazionalista all’inizio del Novecento. Per essere vantaggiosi tali rapporti dovevano far leva sui sentimenti di italianità che il regime tentò di rinverdire attraverso la fascistizzazione.

UN PROGETTO CHE VIDE convergere dalla fine degli anni Venti gli sforzi del corpo diplomatico, dei Fasci all’estero, delle organizzazioni di massa fasciste, delle agenzie governative e di istituzioni culturali come la «Dante Alighieri», poi dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Con scarso esito, rivela la ricerca, in primo luogo perché i sentimenti di italianità dei connazionali di più antica migrazione si erano con il tempo diluiti, come non mancarono di rilevare gli osservatori più attenti. Poi perché dovette fare i conti con la coeva ondata dei nazionalismi argentino, messicano, cileno e brasiliano. Ciò, nonostante il grande sforzo propagandistico profuso dal regime: nel 1924 con la crociera della Regia Nave Italia che circumnavigò il subcontinente toccando 28 porti e 12 nazioni, dal 1927 con una serie di trasvolate aeree che attrassero l’entusiasmo di tanti.

IL TERZO CAPITOLO si sofferma dapprima sull’attenzione che la pubblicistica italiana riservò ai regimi sudamericani emuli in vario modo e grado del regime mussoliniano: l’Argentina del generale Uriburo, il Brasile di Vargas, il Cile di Alessandri e del generale Ibáñez. Un interesse che – osserva Giannattasio – non si tradusse in «studi che analizzassero in maniera complessiva né i movimenti politici in atto, né i risvolti istituzionali, né le mobilitazioni popolari, né la crescente partecipazione della cittadinanza».
Esamina poi la letteratura che prese a bersaglio, in particolare dopo il ’29, il panamericanismo, espressione della dottrina Monroe e dell’imperialismo statunitense. Alle ambizioni egemoniche degli Stati Uniti la pubblicistica fascista contrappose il panlatinismo. L’idea cioè che i vincoli di solidarietà tra le nazioni sudamericane fossero da fondare sulla comune origine latina, cioè su quella romanità di cui il fascismo pretendeva essere l’erede.

SORPRENDE che in questa pubblicistica non compaiano (o che l’autore non li ritenga degni di menzione) riferimenti all’arielismo, cioè a quel movimento intellettuale che, prendendo il nome dal saggio Ariel (1900) dello scrittore uruguayano José Enrique Rodó, contrappose all’utilitarismo e materialismo anglosassone i valori della cultura greco-latina. Resta il fatto che anche questo proposito non diede i frutti sperati sia per l’assai superiore forza di penetrazione sul piano economico degli Stati Uniti, sia per lo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Incrociando vari ambiti di ricerca (cultura e politica estera del fascismo, storia dell’emigrazione e dell’America Latina), il lavoro di Giannattasio offre molti altri spunti che non è possibile riprendere in questa sede, ma che testimoniano dell’utilità e qualità della sua ricerca.