«È lontana da me esattamente quanto la nostra vittoria». L’incipit finisce così, Una questione privata, Beppe Fenoglio. Finisce 2-1 Italia-Austria, stadio di Wembley, Londra, variante Delta del Covid a far paura, italiani d’Inghilterra sugli spalti, pochi austriaci. Non si inginocchiano gli italiani, non si inginocchiano gli austriaci. Ci si può inginocchiare per ricordare la lotta di Luther King, il sacrificio vano di Floyd ucciso da un poliziotto violento. Ci si può inginocchiare per ricordare che la questione razziale è ancora una vergogna mondiale. Un gesto importante, importantissimo. Una questione privata, con il rischio di trasformarla in una farsa collettiva di paure, reticenze, polemiche. Non si inginocchia nessuno e per 90 minuti neppure nessuno si piegherà, ma questa è tutta un’altra storia, quella della partita. Finisce 2-1 per l’Italia, mette le cose a posto Federico Chiesa, entrato a fine ripresa, decisivo a inizio supplementari. Era entrato pure Pessina ed è lui che fa 2-0, su assist di Belotti (anche lui riserva in avvio) conferma  che la panchina è lunga, la strada anche. Di Kalajdzic il gol austriaco e finale. L’Italia del pallone ha conosciuto la paura, ha giocato con la sorte, ha confermato che se le cose iniziano a girare bene i ragazzi azzurri sanno farle andare ancora meglio.

L’AUSTRIA parte e resta coraggiosa, Alaba si muove molto, Arnautovic per il momento si sbraccia, amore sacro e profano, le due anime più attese tra gli austriaci. L’Italia sembra dire «che succede, siamo noi quelli fin qui aggressivi, quelli che non perdiamo da dieci partite». Bisogna aspettare 17 minuti perché una maglia azzurra venga in soccorso delle ambizioni italiane. Gran tiro di Barella, Bachmann sembra fregata, preso in controtempo e invece ci mette i piedi, come si fa nell’hockey e respinge. Si ribalta tutto, scappa Arnautovic, un rimbalzo, un altro, destro, alto.
L’Italia morde, anzi per il momento abbaia. Minuto 32, raptus di Immobile, tiro improvviso, è la cartolina di un pallone calciato all’incrocio. Incrocio. Fuori. L’Italia è la solita, quella che nel girone ne ha vinte tre su tre: quattro difensori, tre a centrocampo, altrettanti in attacco. Acerbi al posto dell’acciaccato Chiellini, Verratti preferito a Locatelli, hombre del partido contro la Svizzera.
Primo tempo, tutti nel frullatore, ma nessun effetto, né per l’Italia né per la Svizzera ed è 0-0.
Stesse squadre nella ripresa, ma è l’Austria che parte più decisa. Fallo da limite dell’area azzurra, ammonito Di Lorenzo, pure Barrella per proteste. Brivido azzurro, punizione di Alaba, alta sopra i guantoni di Donnarumma e la traversa. Però l’Italia è nervosa, morde meno, ha accenni del gioco sulle fasce e delle verticalizzazioni che sembrano marchio di fabbrica, ma va sull’altalena. E dopo più di un’ora dall’altalena cade. Scatto dell’argonauta Arnautovic, bel colpo di testa e pallonetto di testa che supera Donnarumma. Minuto 65, Var e gol annullato per fuorigioco. L’Italia cade dall’altalena, ginocchia sbucciate, ma solo un grande spavento. Mancini s’incazza e cambia: fuori un nervoso Barella e un opaco Verratti, dentro Locatelli e Pessina. Cambia ancora poco, altro check in area azzurra per un presunto fallo di Pessina. L’Italia non c’è, è come se alla quarta replica avesse dimenticato le battute di uno spettacolo di successo. Eppure il copione è se le lo stesso.

MA NON ERA la compagnia il successo dell’Italia di Mancini? Già e allora si scaldino due attaccanti arrivati da Torino, il granata Belotti e lo juventino Chiesa. Nell’attesa (83) Berardi fa il fenomeno. Rovesciata, ma pallone sfiorato appena. Fuori Immobile e Berardi, cinque minuti alla fine. Altri cinque di recupero, ma è sempre 0-0, con più ansie azzurre che emozioni.
Poi ci pensa Federico Chiesa, figlio di Enrico, genovese di nascita e naso da alpino. Tocca a lui rompere l’equilibrio di questa guerra di trincea dopo cinque minuti del primo tempo supplementare. Dieci minuti, assist chiappe a terra di Belotti, gran gol di Pessina e 2-0. È la rete che sembra chiudere i giochi, ma c’è un calcio d’angolo e l’Austria che non molla e la testa di Kalajdzic fa 2-1. Finisce (finalmente) così, l’Italia non cresce, ma vince e va ai quarti. In panchina il più felice è Gianluca Vialli, capo delegazione. È la gioia più bella, ma questa è una questione privata.