Porti italiani chiusi alle navi delle Ong straniere cariche di migranti. L’ipotesi è stata prospettata ieri al commissario Ue per l’Immigrazione Dimitri Avramopoulos dall’ambasciatore italiano a Bruxelles Maurizio Massari. Una decisione che il governo ha preso dopo che dal Viminale sono arrivati i dati relativi agli sbarchi – 70.380 migranti arrivati dal primo gennaio al 27 giugno, il 14,42% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno – ma che non può non risentire anche dell’esito della tornata elettorale di domenica che ha fortemente penalizzato il Pd. «La gente è esasperata», aveva detto martedì sera Matteo Renzi, lasciando intuire la svolta. Che puntualmente è arrivata. «Chiediamo alla Ue, e ad alcuni paesi europei, che la smettano di girare la faccia dall’altra parte perché questo non è più sostenibile», ha spiegato ieri il premier Paolo Gentiloni.

La decisione di cambiare atteggiamento con i partner europei è stata presa nel vertice che si è tenuto due sere fa a Palazzo Chigi tra il premier – che in precedenza ne aveva parlato con il presidente della repubblica Mattarella – e il ministro degli Interni Minniti, e successivamente comunicata all’ambasciatore Massari.

Dietro la minaccia di chiusura dei porti c’è anche la delusione incassata da Gentiloni all’ultimo consiglio europeo della scorsa settimana dove, di fronte alla sua richiesta di poter far sbarcare i migranti in altri paesi dell’Unione in modo da alleggerire il carico dell’Italia, il premier aveva ricevuto tanta solidarietà ma nessun impegno concreto. Neanche dal presidente francese Macron e dalla cancelliera Merkel, i leader «amici» che pure avevano promesso per l’ennesima volta di non lasciare sola l’Italia. Da qui la scelta di forzare la mano, concordata anche con il segretario del Pd che ieri ha fatto sapere di essere d’accordo con il governo. «Il nostro è un appello all’Europa – spiega il viceministro degli Esteri Mario Giro – , alla quale chiediamo di andare oltre Dublino perché stiamo attraversando una situazione di emergenza che si risolve solo con la condivisione europea e con il trattenimento dei migranti nei paesi di origine».

Va detto che l’eventuale blocco dei porti non scatterebbe subito. Le navi delle Ong straniere che in queste ore si trovano in mare dopo aver effettuato i soccorsi potranno sbarcare i migranti come sempre. In futuro si vedrà, così come il governo non esclude di poter ampliare il blocco anche alle navi di Frontex e a quelle della missione europea Sophia impegnate nel Mediterraneo centrale.

Sempre ammesso che la minaccia sia davvero realizzabile. Le operazioni di soccorso in mare dipendono infatti dal dispositivo Maritime rescue coordination centre (Mrcc) coordinato a Roma dalla Guardia costiera che decide quale nave deve intervenire in caso di necessità e in quale porto dirigersi successivamente. Il tutto in base a precise regole fissate dalla convenzione internazionale di Amburgo del 1979 che stabiliscono, tra l’altro che ogni salvataggio in mare si concluda nel porto non solo più vicino, ma anche più sicuro. Dove per sicurezza si intende la certezza che i migranti l’incolumità dei migranti sia garantita (il che, per capirsi, dovrebbe escludere la Libia con la quale invece si continuano a fare accordi). Eventuali modifiche, ammesso che siano possibili, non potrebbero essere immediate. Non a caso ieri, insieme alla scontata solidarietà di Avramopoulos che ha promesso un aumento dei finanziamenti, dalla Commissione Ue è arrivato anche un esplicito invito all’Italia a rallentare con iniziative unilaterali. E così se da una parte la portavoce della Commissione europea Natasha Bertaud ha ricordato che per quanto riguarda le missioni europee le regole operative in base alle quali operano possono essere modificate solo all’unanimità dagli stati membri che vi partecipano, dall’altra – ha aggiunto Bertaud – «la questione degli sbarchi è regolata dalla legge internazionale. La Commissione Ue tuttavia ritiene opportuno che qualsiasi cambiamento nelle politiche sia prima discusso e comunicato nel modo giusto, così da dare alle Ong l’opportunità di prepararsi». E lo stesso Avramopoulos ha poi rinviato tutto al vertice informale dei ministri degli interni Ue che si terrà la prossima settimana a Tallin, in Estonia. Un modo per prendere ancora una volta tempo, in attesa di vedere se l’Italia avrà davvero il coraggio di chiudere o meno i suoi porti.