Il viaggio di zapatisti e zapatiste in Italia è finito. Un torneo di calcio (a sette) femminile sul campo di rugby degli All Reds, ovvero al centro sociale Acrobax di Roma, e poi musica e fuochi d’artificio, sono stati la conclusione di quasi un mese di iniziative e incontri, aperti ma non pubblici, in tutta la penisola.

Nel frattempo altri uomini, donne e bambini del Chiapas facevano lo stesso in altre parti d’Europa, come avevano già fatto dal loro arrivo a Vienna, a metà settembre. Il volo di ritorno per il Messico è ancora da venire: l’invasione dal basso ordita un anno fa e costruita assieme a solidali di tutto il continente passerà dalla penisola iberica.

Qualche ora prima dei titoli di coda sul viaggio italiano, a Milano si è consumata una storica partita: quella tra una delegazione di basi di appoggio dell’Ezln (l’Esercito zapatista di Liberazione nazionale) e alcuni allenatori, dirigenti e simpatizzanti del progetto Inter Campus, legato all’Inter e presieduto da Massimo Moratti.

Il progetto Inter Campus è attivo in tutto il mondo, anche nel Caracol di Morelia, in terra zapatista. In campo è scesa anche Carlotta, figlia di Massimo e capofila del progetto Campus. Divertito, e un po’ emozionato, sugli spalti di via della Commenda anche l’ex presidente che dopo lo storico scambio di lettere (2004) con l’allora Subcomandate Marcos ha finalmente visto realizzarsi lo scontro calcistico pensato, molto più in grande, 17 anni fa. Presenti anche Giovanni e Maria Moratti.

La distanza politica e calcistica tra la partita di Milano e il torneo di Roma rappresenta appieno la contraddizione zapatista: un esercito nato per rifiutare le armi, una rivoluzione iniziata non per prendere il potere ma per cambiare l’idea di potere. Un esercito, sì, perché l’Ezln questo è, che ha teorizzato l’orizzontalità politica e sociale come alternativa al verticismo capitalista e che in questa logica ha sempre avuto un «subcomandante» alla guida della struttura, lasciando al popolo il potere reale, politico, sociale, organizzativo.

A differenza di molti altri eserciti rivoluzionari latinoamericani, ben poco si sa della sua struttura militare, mentre molto si sa del percorso politico e sociale delle comunità indigene in resistenza. Non è mai stato permesso a giornalisti, giornaliste, fotografi, videomaker di seguire la vita clandestina dell’Ezln, ma chiunque abbia voluto entrare in una comunità indigena e conoscere la storia della resistenza di base ha potuto farlo in questi 27 anni di lotta pubblica. Dietro questa scelta c’è sicuramente la tutela della loro sicurezza ma anche una cura allo stravolgimento delle classiche forme di lotta politica.

Forse anche per questo la «Travesía por la Vida» si è svolta in un modo tanto strano per i canoni europei: vietando la pubblicizzazione degli incontri, favorendo tempi lunghi e porte chiuse a piazze piene, presidi in solidarietà alle comunità indigene, feste e quant’altro siamo soliti organizzare quando nelle città e nei nostri spazi riceviamo delegazioni di esperienze straniere.

Forse anche per questo, nonostante in Chiapas la situazione sia molto tesa, le comunità in resistenza attaccate da gruppi di criminali organizzati, i migranti centroamericani privati di ogni diritto e possibilità di arrivare negli Stati uniti e la guerra contro l’Ezln combattuta cancellando la sua esistenza da radio, stampa, giornali, tv, librerie e libri di storia, hanno scelto come estemporanea prova di forza di portare in Europa quasi 200 militanti, tra i quali il Subcomandate Moisés, mostrando che resistendo si possono creare anche ponti.