La ripresa post Covid-19 passa di necessità attraverso uno “stop” al trattato di liberalizzazione commerciale tra Europa e Mercosur, l’area di libero scambio tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, che la Commissione europea vuole far approvare proprio come volano di nuova crescita. E non solamente per motivi di sicurezza alimentare, o ambientale. L’operazione, infatti, rischia di assestare un colpo secco all’assetto industriale dei Paesi che lo sottoscriveranno, in primo luogo l’Italia.

Un nuovo rapporto di Jeronim Capaldo e Özlem Ömer del Global Development Policy Center della Boston University, rivela che il più grande accordo commerciale per entrambi i blocchi in termini di numero di cittadini coinvolti, amplificherebbe importanti problemi in termini di occupazione, disparità salariale e contrazione della produttività già in atto nelle due regioni. Un rischio molto grave considerate le importanti difficoltà già create dalla pandemia.

«La nostra osservazione si è concentrata sui Paesi i cui scambi sono i più vivaci: Argentina, Brasile, Repubblica Ceca, Francia, Italia, Germania, Polonia – spiega l’economista Jeronim Capaldo – . tutti mostrano un crescente squilibrio tra settori ad alta produttività-alta crescita salariale, i settori ‘dinamici’, e settori a bassa produttività-bassa crescita salariale, “stagnanti”. In tutti i Paesi del campione l’occupazione è passata da settori dinamici a settori stagnanti mentre la generazione di valore aggiunto si è spostata nella direzione opposta. Questa polarizzazione strutturale, è la causa principale della tendenza alla contrazione della produttività osservata in tutti i Paesi e dell’aumento della disuguaglianza».

In questo scenario, secondo lo studioso «il trattato andrebbe a enfatizzare questa tendenza. Intraprendere un percorso di crescita “sostenibile” richiede di aumentare le dimensioni dei settori ‘dinamici’, e per i Paesi del Mercosur significa anche continuare a industrializzarsi, aumentando la loro quota manifatturiera sia in termini di valore aggiunto che di occupazione, fino a quando non potranno competere in segmenti di mercato a più alto valore aggiunto. Il trattato, al contrario, dati alla mano, procede in senso contrario».

Venendo all’Italia, tra il 2000 e il 2014, anno in base al quale cui l’Unione Europea ha calcolato i costi e i benefici del trattato valutandolo positivo per il nostro Paese, il Pil si è contratto a un tasso medio dello 0,2% all’anno, riflettendo una stagnazione più profonda rispetto ad altri Paesi. I salari reali sono rimasti stagnanti, crescendo solo dello 0,4% in 14 anni, mentre la produttività si è contratta del 3,7%, consentendo un aumento della quota di lavoro. La disuguaglianza tra i redditi è diminuita con uno schiacciamento dei livelli medi verso il basso, sottolinea la ricerca . Il settore manifatturiero è stato il principale motore della produttività, ma la sua quota di occupazione è diminuita drasticamente e la sua quota di valore aggiunto è rimasta stagnante a un livello basso (circa il 16%), un segnale netto di deindustrializzazione. Tutti i settori stagnanti, come i servizi alle imprese, il commercio al dettaglio, l’alloggio e il cibo, hanno causato la maggior parte della contrazione della produttività, ma sono stati gli unici a creare posti di lavoro.

«Le nostre proiezioni indicano che l’UE, ma in particolare l’Italia – sottolinea Capaldo – con i nuovi flussi commerciali sperimenteranno contrazioni della produzione proprio nei settori agricoli e manifatturieri, con trascurabili guadagni in quelli dei mezzi di trasporto e macchinari». Il rapporto, nello scenario ambizioso prevede un aumento del 30,7% delle esportazioni agroalimentari verso l’UE, in competizione diretta con settori mentre l’aumento delle esportazioni di beni industriali dovrebbe essere del 9,6% entro il 2032, di cui la Germania farebbe il maggior guadagno. «L’Italia – è la considerazione finale dei ricercatori – dovrebbe valutare attentamente questi dati di realtà»: non tutto l’export in più si traduce in più opportunità, soprattutto dopo una fase di crisi che richiederebbe più attenzione e più visione.