Alle Olimpiadi di Tokyo senza la bandiera, il medagliere e l’inno nazionale italiano. Non è uno scherzo, domani il Comitato olimpico internazionale, il Cio, potrebbe sospendere il Coni escludendo l’Italia dai Giochi. Una vicenda incredibile, che può essere sanata solo entro 24 ore con un decreto di appena dieci righe, con diversi colpevoli e il danno, incalcolabile, alla reputazione dello sport italiano, con il nostro Paese che è l’organizzatore dei Giochi olimpici invernali di Milano-Cortina nel 2026.

Il motivo, ovvero la violazione dell’articolo 27 della Carta Olimpica perché la legge di riforma dello Sport del governo Conte 2 non rende il Coni un ente autonomo, è tutto nei rapporti tesi eterni tra governo e Coni. La storia inizia nel dicembre del 2018, ai tempi del Conte 1, con l’approvazione della Legge di Stabilità attraverso cui cessava di esistere la Coni Servizi, ovvero l’azienda pubblica che si occupa dello sviluppo dello sport. Venne così creata Sport e Salute, che tra i vari compiti avrebbe avuto l’onere di far partire gli assegni per i finanziamenti alle federazioni nazionali e agli altri organismi sportivi. Il Coni informò il Cio, che già in precedenza aveva sottolineato che non tutto pareva in ordine nel progetto di riforma griffato dall’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega allo sport, il leghista Giancarlo Giorgetti.

I primi venti di guerra sono arrivati a giugno del 2019: assieme all’assegnazione all’Italia delle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026, il numero uno del Cio Bach spiegava al premier Giuseppe Conte e al sottosegretario Giorgetti che l’Italia era l’unico paese ancora contro la carta olimpica, ricevendo rassicurazioni sul fatto che la vicenda sarebbe stata sanata. Non avvenne, poche settimane dopo Malagò al Senato evidenziava ancora il buco nero, quella stretta dipendenza del Coni dall’esecutivo che violava la carta olimpica, e il rischio della sospensione – o del ritiro del riconoscimento dello stesso Coni – dal Cio. Appello nel vuoto, anche dopo l’approvazione da parte del Senato del ddl che assegnava al governo le deleghe per la riforma dello sport.

Poi, fine del governo Conte 1, ecco il Conte 2, Vincenzo Spadafora al posto di Giancarlo Giorgetti al ministero dello sport. Proprio qualche giorno prima, in quell’agosto infuocato della politica italiana, arrivò da Losanna, la casa del Cio, una lettera di quattro pagine con le indicazioni specifiche, sei punti, con cui la legge di riforma dello sport del governo (approvata l’8 agosto) avrebbe violato le prerogative del Coni. Ed è stata anche la prima circostanza, quindi un anno e mezzo fa, in cui si è fatta largo l’idea dell’Italia ai Giochi olimpici senza bandiera e inno nazionale. Poi, mesi di conflitti tra Malagò e Spadafora, con il Cio che chiedeva al governo italiano, senza risposta, di sanare la posizione del Coni, ancora a marzo 2020, poi la pandemia, il rinvio dei Giochi di Tokyo, le scaramucce tra esecutivo e Coni sulla legge di riforma dello sport, il Cio che ricorda quanto promesso e non ottenuto, i moniti del Coni, sino all’ultimo appello di Malagò ieri alla camera. La figuraccia ormai è fatta, tra 24 ore sarà molto peggio.