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«L’Italia ripudi il regime liberticida degli al-Khalifa»

«L’Italia ripudi il regime liberticida degli al-Khalifa»Proteste in Bahrain – Afp

Bahrein Conferenza in Senato a otto anni dalla repressione di Piazza della Perla: gli attivisti chiedono al governo italiano di togliere sostegno alla monarchia, responsabile dell'oppressione sistematica delle istanze di democrazia della popolazione

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 19 febbraio 2019

«L’ambasciata italiana in Bahrein dovrebbe accogliere gli attivisti e sostenerli pubblicamente, laddove invece su Twitter non ci sono che immagini con i membri della dinastia regnante al-Khalifa. Non dovrebbe limitarsi a mandare un osservatore ai processi, un signore che prende diligentemente appunti ma non dice nulla, ma insistere affinché avvengano nel rispetto degli standard internazionali». Esordisce così Brian Dooley, consulente dell’ong Human Rights First con sede a Washington.

Dooley ha partecipato alla conferenza di giovedì scorso organizzata in Senato dal pentastellato Alberto Airola per ricordare gli otto anni della durissima repressione in Piazza della Perla, nella capitale del Bahrein: i sauditi mandarono i carri armati per evitare che la primavera araba avesse esito positivo e portasse gli sciiti al potere. Nell’arcipelago la popolazione è araba e la maggioranza è sciita, mentre sunnita è la dinastia al potere degli al-Khalifa.

Ai senatori italiani, Dooley suggerisce di «non riconoscere come propri pari i deputati del Bahrein, perché sono eletti in elezioni farsa. È necessario passare una risoluzione affinché vengano condannate le violazioni dei diritti umani nell’arcipelago. Andate a Manama e chiedete di poter incontrare gli attivisti in carcere. Se le autorità locali si rifiutano, presentatevi comunque all’ingresso della prigione e obbligateli a mandare via i senatori della Repubblica italiana».

«La società civile del Bahrein porta avanti le stesse istanze dagli anni Venti del Novecento. Ogni dieci anni, Manama è attraversata da una qualche forma di ribellione volta a ottenere un governo rappresentativo, una democrazia, il rispetto dei diritti umani». A ricordarlo è l’attivista Maryam al-Khawaja, in esilio in Danimarca, era anche lei alla conferenza in Senato.

Arrestata nel 2014, era stata rilasciata grazie alle pressioni internazionali. Entrambi i genitori sono attivisti. Dopo essere stato torturato, il padre sconta l’ottavo anno di ergastolo. Seviziato pure lui, lo zio è stato condannato a cinque anni. La sorella di Maryam, Zaynab è stata imprigionata dodici volte ed ora vive in esilio. Una storia, la loro, comune a tante famiglie sciite.

Se l’Occidente non ha reagito alla repressione in Bahrein, spiega Maryam, è perché per i paesi occidentali «il petrolio vale di più del sangue». Di fronte alle violazioni dei diritti umani, a contare sono la presenza della V Flotta americana e la Formula Uno. «Per questo, il regime ha potuto uccidere, chiudere lo spazio del dibattito politico, reprimere le libertà fondamentali e mettere in atto la tortura in modo sistematico. Il regime è riuscito a istituzionalizzare la repressione usando uno stratagemma: anziché esibire una violenza diffusa, che avrebbe attirato l’attenzione internazionale, ha utilizzato il sistema giudiziario per reprimere il dissenso. Il Bahrein ha il più alto numero di prigionieri politici: sono 4mila su una popolazione di 700mila».

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