Facciamo un gioco. Immaginiamo che uno studioso proveniente da terre lontane giunga in Italia senza nulla sapere del nostro Paese, munito soltanto della Costituzione a fargli da guida. Sa, dai suoi studi, che l’Italia è una democrazia parlamentare. Si trova innanzi un sistema incentrato su un Capo, che dal governo fa e disfa a proprio piacimento senza che il Parlamento abbia voce in capitolo, nemmeno sulla sua nomina.

LA SEDE DELLA SOVRANITÀ popolare è ridotta a organo di ratifica delle decisioni del governo; la sua elezione è determinata da una legge elettorale così alterata che tra il ’94 e il 2018 nessuna maggioranza parlamentare è stata altresì maggioranza elettorale (a tacer delle tre elezioni incostituzionali del 2006, 2008 e 2013). Per 25 anni, gli italiani si sono espressi contro coloro che li hanno poi governati. C’è da stupirsi che quasi metà della popolazione non voti più? Il nostro studioso si sofferma sulla successiva qualità costituzionale della Repubblica: l’essere «fondata sul lavoro». I dati in materia lo fanno sobbalzare. L’Italia è l’unico membro dell’Ocse in cui negli ultimi 30 anni i salari sono diminuiti, mentre ovunque aumentavano. In compenso, il monte orario è elevatissimo: al punto che se in Italia si lavorasse come in Germania, la conseguente redistribuzione delle mansioni annullerebbe la disoccupazione. Le condizioni di lavoro sono così degradate che oltre 3 milioni di lavoratori sono a termine; molti di loro sono poveri nonostante lavorino. Tra i giovani, un quarto non studia né lavora: il dato più elevato d’Europa.

POCO MALE, pensa lo studioso, c’è pur sempre il principio di uguaglianza a salvare la situazione. Quel che riscontra è una società in cui tre individui ultramiliardari posseggono tanta ricchezza quanto il 10% più povero della popolazione (6 milioni di persone). Dal 2010 i miliardari sono passati da 12 a 54 unità, mentre i poveri salivano da 3 a 5 milioni (13, aggiungendo le persone a rischio di povertà). Intanto, a dettare il dibattito politico sono i sussidi alle imprese, la riduzione delle tasse ai ricchi, l’abolizione del reddito di cittadinanza, l’aumento della spesa militare e la conseguente contrazione dello Stato sociale (a partire da scuola e sanità).

SARANNO ALLORA LE REGIONI, enti territoriali più vicini ai cittadini, a farsi carico delle diseguaglianze, agendo con autonomia nella cornice dell’indivisibilità della Repubblica? La realtà, ancora una volta, è un’altra. Benché governate da partiti avversi, le tre regioni più ricche reclamano all’unisono un incremento di autonomia tale da far sospettare la loro sottesa volontà secessionista, mentre le zone più povere del Paese versano al livello delle aree depresse dell’Est Europa.
Se poi si guarda ai più poveri tra i poveri – i migranti – la rottura con il dettato costituzionale è plateale: alla teoria di un diritto d’asilo riconosciuto a chiunque sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche fa da specchio una realtà in cui i pochi che, solo grazie alle Ong, sono salvati dall’annegamento in mare entrano in un limbo giuridico che sconfina nella negazione dello stato di diritto.

Almeno l’Italia agirà per rimuovere le cause delle migrazioni, immagina allora lo studioso sulla scorta dell’impegno costituzionale per la pace e la giustizia tra i popoli. Di nuovo, lo scorno è grande: sul piano militare (con le guerre di aggressione a Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia), economico (con l’abbandono della cooperazione internazionale e lo sfruttamento dei Paesi poveri) e ambientale (con la devastazione dell’ambiente persino all’interno del Paese, dove il paesaggio è da decenni oggetto di abbandono e saccheggio) l’Italia alimenta gli squilibri internazionali causa delle migrazioni. Nemmeno il rischio dell’olocausto nucleare vale a far operare il governo per la pace in Ucraina. Cos’altro dovrebbe allora pensare lo studioso venuto da lontano, se non che la Costituzione italiana si è, per nostra responsabilità, di fatto eclissata?

È, DUNQUE, PERFETTO il titolo dell’ultimo libro di Tomaso Montanari, Eclissi di Costituzione: il governo Draghi e la democrazia (Chiarelettere, pp. 160, euro 14). Una lettura del nostro presente acuta e impegnata, capace di ruotare intorno ai temi sopra ricordati in capitoli di inusuale rigore intellettuale e coerenza interpretativa. È lui lo studioso che viene da lontano. Lontano dall’ideologia antidemocratica dell’oligarchia dominante; lontano dalla volontà di piegare qualsiasi esigenza sanitaria, ambientale, di giustizia sociale agli appetiti economici; lontano dalla negazione delle radici antifasciste e resistenziali della Repubblica; lontano dal disprezzo umano, ancor prima che sociale, riservato agli ultimi.