La decisione, già ampiamente annunciata e praticamente digerita (l’indiscrezione era di domenica scorsa), alla fine è arrivata: la Ue ieri ha chiesto ufficialmente di abrogare la procedura per deficit eccessivo contro l’Italia. Procedura che, come ha ricordato la stessa Commissione, era stata lanciata nel 2009, perché il nostro Paese aveva non solo sforato il deficit (il picco ha raggiunto il 5,5%, contro il 3% concesso dai patti di Maastricht), ma si trovava (e ancora lo è) in una condizione di alto debito pubblico. Ma ora il deficit si è rimesso strutturalmente a posto: raggiungendo l’ambito 3% nel corso del 2012. E, cosa più importante, c’è un impegno a mantenerlo sotto questa soglia per il 2013 e per il 2014, e più in generale per i quattro anni fino al 2017.
Adesso si aprono nuove prospettive per l’Italia, che potrà giocare più flessibilmente con i propri investimenti, usufruendo di cofinanziamenti europei. Secondo i calcoli della stessa Ue, si libererebbero 12 miliardi di euro per il 2014, ma attenzione, non utilizzabili per la spesa corrente, o per finanziare i tagli dell’Imu, il non aumento Iva o la Cig. Sarebbero poste di bilancio sottratte al conteggio del deficit, proprio in forza di nuovi investimenti in infrastrutture, nei pagamenti dei debiti del pubblico verso le imprese, o per rilanciare l’occupazione giovanile.
Ma non sono tutte rose e fiori, anzi. La Commissione, rimuovendo la procedura, ha insieme posto sei condizioni all’Italia. E prima ha tracciato il quadro delle prossime previsioni sui conti, da cui sarà bene non discostarsi. La Ue spiega che «secondo il programma di stabilità 2013-2017, adottato dal governo italiano il 10 aprile 2013 e approvato dal Parlamento italiano il 7 maggio, nel 2013 il disavanzo registrerà una leggera diminuzione al 2,9% del Pil, per poi scendere all’1,8% nel 2014. Nell’ipotesi di politiche invariate, le previsioni di primavera 2013 della Commissione indicano un disavanzo del 2,9% nel 2013 e del 2,5% nel 2014».
Il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, ha dunque mantenuto alta la «tensione» sui conti dell’Italia: «A causa del debito molto elevato non possiamo dire che l’Italia deve rallentare gli sforzi – ha dichiarato – Negli ultimi mesi ha perso quote di mercato e manca ancora di competitività ma ci sono le condizioni per recuperare». Il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, ha aggiunto che l’Italia «ha margini di sicurezza molto piccoli per tenere il deficit sotto il 3% dopo le decisioni del nuovo governo sulla tassazione» (si riferisce alla possibilità di togliere l’Imu). «Una gran parte di questi margini di sicurezza – ha concluso – è già stato usato per il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione, soprattutto alle piccole e medie imprese».
Ed eccole, dulcis in fundo, le sei condizioni poste: 1) Si deve mantenere il deficit sotto il 3% e realizzare surplus per abbattere il debito; 2) Rendere più efficiente la pubblica amministrazione e la giustizia civile, reprimere la corruzione; 3) riformare il sistema delle banche, per facilitare il credito alle imprese, anche favorendo la «partecipazione» delle banche «al capitale» delle imprese; 4) una corposa raccomandazione sul lavoro sollecita a «riformare il mercato», «allineare i salari alla produttività», «favorire l’occupazione di giovani e donne», contrastare «l’abbandono scolastico» e «indirizzare meglio le prestazioni sociali verso le famiglie a basso reddito e con figli»; 5) sul fisco, «trasferire il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e ambiente assicurando la neutralità di bilancio»; rivedere l’Iva, i valori catastali per l’Imu, combattere lavoro irregolare ed evasione. Sulla revisione del fisco, ieri si è espresso il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, ricordando che sarà possibile «solo con la riduzione della spesa»; 6) nuovi investimenti in infrastrutture, dall’energia al trasporto intermodale, le tlc e la banda larga; nuove liberalizzazioni nei servizi pubblici, sostituendo le gare alle concessioni dirette.