Oramai siamo al muro contro muro. Il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura nella giornata di ieri è stato ricevuto a New Delhi da Salman Khurshid, ministro degli Esteri indiano, nell’estremo tentativo di trovare una soluzione alla situazione di stallo che continua a rimandare la data d’inizio del processo contro Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati dell’omicidio di due pescatori del Kerala ormai 19 mesi fa.
L’ostacolo apparentemente irremovibile è rappresentato dal rifiuto dell’Italia di mandare a deporre in India gli altri quattro marò membri del Nucleo militare di protezione del San Marco a bordo il 15 febbraio 2012 sulla petroliera italiana Enrica Lexie. Secondo gli inquirenti indiani la deposizione dei quattro – ultimo tassello per completare le indagini – sarebbe atto dovuto, considerando che il governo italiano si era impegnato ufficialmente con la Corte suprema indiana di riportare i fucilieri in India qualora fosse avanzata una richiesta durante le indagini. Ora la richiesta c’è, ma il governo italiano ha nuovamente cambiato idea poiché, come dichiarato a più riprese dallo stesso De Mistura, dal momento della firma ad oggi «è passata molta acqua sotto i ponti». Le alternative italiane di sentire i marò in videoconferenza, mandando un questionario da compilare o svolgendo l’interrogatorio sul suolo italiano, sono state respinte dai funzionari della National Investigation Agency (Nia), così la missione diplomatica di De Mistura doveva persuadere gli Esteri indiani a mediare con l’intransigenza della polizia federale.
De Mistura, come dichiarato qualche giorno fa a Il Messaggero, aveva intenzione di utilizzare una nuova leva emotiva offerta da un fatto di cronaca italiana, la tragica morte della ginecologa Eleonora Cantamessa, investita a Bergamo da un cittadino indiano mentre curava un altro cittadino indiano. Riprendendo le dichiarazioni a caldo della madre di Cantamessa, De Mistura aveva anticipato quale sarebbe stata la sua strategia persuasiva: «Il sacrificio di Eleonora Cantamessa può aiutarci a far tornare i marò a casa. Vogliamo far leva sul senso d’umanità degli indiani. La prossima settimana andrò a Nuova Delhi e porterò con me le interviste della madre di Eleonora, Mariella Armati».
Obiettivo sfumato davanti alla posizione ferrea dell’India che ora, per uscire dall’impasse, potrebbe addirittura rivolgersi alla Corte suprema lamentando per vie legali la mancata disponibilità italiana non solo alla collaborazione, ma al far fede ad accordi scritti, una replica del tira e molla imbarazzante operato lo scorso marzo dall’allora ministro Giulio Terzi di Sant’Agata.
Sentire i quattro marò attualmente in Italia (Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte) per la Nia non è solo una questione di principio. Incombe infatti l’ombra del rapporto che l’ammiraglio Piroli aveva stilato aggiornando la Marina militare italiana sull’esito delle prime indagini condotte dalla polizia del Kerala. Secondo il documento, pubblicato su Repubblica a maggio, gli esami della balistica avrebbero provato che i fucili dai quali partirono i proiettili contro Ajesh Binki e Valentine Jelastine, basandosi sul numero di matricola, non erano di Latorre e Girone, bensì di Voglino e Andronico.